Anno nuovo vita nuova: cosa ci impedisce di realizzare i nostri obiettivi?

Quando sei davanti a due decisioni, lancia in aria una moneta. 

Non perché farà la scelta giusta al posto tuo, ma perché

nell’esatto momento in cui essa è in aria 

saprai improvvisamente in cosa stai sperando di più.

Bob Marley

Fine Anno, tempo di bilanci. La nostra psiche si attiva, ripercorrendo in breve l’anno appena trascorso che, non si sa bene perchè, è stato sempre un pessimo anno. L’opzione uno è sperare che il prossimo possa essere “migliore” e fare dei buoni propositi. L’opzione due è assumere un ruolo cinico, asserendo che mai nulla cambierà. Questa breve descrizione dello status cognitivo ed emotivo che precede il Capodanno porta ad una serie di riflessioni psicologiche.

Siamo sicuri che l’anno passato non abbia portato nulla, ma proprio nulla di buono?

Secondo le teorie della Psicologia cognitiva spesso la nostra mente è soggetta a dei bias (errori, ndr), dei processi di elaborazione delle informazioni che ci portano a conclusioni non obiettive su noi stessi, sugli altri o sugli eventi. Quando giudichiamo l’anno appena trascorso come un disastro, è possibile che stia agendo la tendenza a focalizzare gli aspetti negativi della realtà (“astrazione selettiva”), oltre che un processo di “generalizzazione”, in quanto il giudizio è esteso ad un periodo abbastanza lungo (un intero anno), oppure stiamo utilizzando un “pensiero dicotomico”, tutto-o-nulla, la cui rigidità si basa sul classificare in categorie opposte (es. buono-cattivo; perfetto-imperfetto; ragione-torto). Quando utilizziamo questi schemi cognitivi ci allontaniamo dal dato di realtà, in quanto è veramente improbabile che ogni giorno, ogni ora del nostro anno siano stati davvero pessimi.

Sperare in un anno migliore e fare buoni propositi.

Abbattuti dal giudizio disastroso, è una lecita reazione l’intervento del meccanismo difensivo dell’idealizzazione (es. “l’anno nuovo sarà invece migliore”). Per Carl Rogers (psicologo umanista statunitense, ndr) noi abbiamo un sé reale (come si è) ed un sé ideale (come si vorrebbe essere). Quando ci immaginiamo nel futuro tendiamo ad idealizzare l’immagine di noi stessi. Se questa immagine è troppo alta e irraggiungibile potrebbe rivelarsi una “trappola” ed ecco prepararsi il terreno la delusione di fine anno, nel constatare che non è cambiato niente. Per raggiungere un obiettivo non è sufficiente desiderare un anno “migliore” poiché questa definizione è troppo vaga: migliore in che termini? In quale ambito? Cosa vorremmo migliorare? Quale obiettivo vorremmo raggiungere? Inoltre, è come se sperando ci aspettassimo un cambiamento che proviene dall’esterno… una soluzione magica, che non arriverà.

Resistere al cambiamento.10-Hardest-Life-Fish-Bowl

Questa potrebbe dunque essere la nostra conclusione finale: “non cambierà proprio niente”. Anche quest’ultimo atteggiamento, per così dire “cinico”, sembrerebbe una difesa. Evitando di crearsi delle aspettative, si tenta di proteggere l’autostima da un eventuale futuro fallimento: se non mi aspetto di cambiare, quando concluderò che non sono cambiato era proprio come mi aspettavo e non rimarrò deluso.

Ciascuno di noi ha delle spinte e allo stesso tempo delle resistenze al cambiamento, ovvero, secondo la Teoria freudiana, impulsi costruttivi e distruttivi. I nostri buoni propositi falliscono quando ci auto-sabotiamo scegliendo degli obiettivi irraggiungibili, oppure quando ci lasciamo guidare dall’idea che il cambiamento possa provenire dall’esterno cioè dal caso o dalla fortuna. Il processo di cambiamento ha bisogno di essere preceduto dalla consapevolezza: per cambiare davvero abbiamo bisogno di sapere esattamente cosa non va bene e bisogna attribuire importanza al proprio impegno nel perseguire il nostro obiettivo, contro quelle spinte che invece ci vorrebbero immobili.

Buon cambiamento!

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo, classe 1986. Si laurea in Scienze Cognitive e Psicologia presso l'Università degli Studi di Messina. Collezionista di titoli, a causa della sua passione per la Ricerca viene condannata a tre anni di Dottorato, ma pare ne abbia già scontato la metà. Chiamata a curare la rubrica di #psycologia, non ha potuto rifiutare questa insolita richiesta d'aiuto.
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