Branciaroli e il suo “Enrico IV” al Vittorio Emanuele

Ambizioso e riuscito il tentativo di Branciaroli di portare sul palco il personaggio forse più difficile e sfaccettato dei capolavori pirandelliani, nel ruolo che, nel tempo, fu il cavallo di battaglia di attori di altissimo livello (Carraro, Randone, Rigillo). Con lo sfondo della straordinaria scenografia di Margherita Palli (suoi anche i costumi), fatta di pannelli, cavalli, ritratti ricoperti da pannelli polverosi, ecco dipanarsi sul palcoscenico la storia di un personaggio, lo chiamiamo così perché, come è noto, non ha un nome proprio, prigioniero di se stesso e dei suoi inganni che, impazzito e rinsavito, si vede costretto a continuare a passare per pazzo per tutta la vita.

Lo spettacolo si può dividere in due parti: la prima è piena di caricature volutamente eccessive e toni alti, con figure di contorno volgarmente ritoccate e imbellettate, metaforiche caricature di una società stupida e vuota, che recitano sopra le righe e organizzano una grottesca messa in scena che dovrebbe fare rinsavire il personaggio il quale, anni addietro, era caduto da cavallo sbattendo la testa e perdendo la memoria, e credendo da quel momento di essere Enrico IV. La seconda, più meditativa e introspettiva, raggiunge il suo apice con il bellissimo monologo finale di Branciaroli, quando il protagonista spiega ai suoi compagni di essere rinsavito molto tempo prima, ma di aver continuato nella finzione per non doversi confrontare con una società viziosa e ipocrita. Ed è in questa seconda parte che il protagonista furoreggia con le sue profonde riflessioni sul senso della vita, e con il finale drammatico e spiazzante, che vede Enrico pugnalare il rivale, (artefice della caduta che gli aveva fatto sbattere la testa e perdere la memoria anni addietro, per poterne conquistare la di lui amante), ed essere incoronato dallo psichiatra, costretto così a rimanere per sempre nel falso mondo rinascimentale. E non è detto che non sia la soluzione migliore per il protagonista, talmente disgustato dal mondo reale da preferire l’isolamento di un finto passato glorioso.

Magnifica e intensa l’interpretazione di Branciaroli (che dello spettacolo è anche il regista), che oscura i pur bravi attori presenti sulla scena, regalandoci, da perfetto mattatore quale è, uno straordinario, malvagio e al contempo disperato e rassegnato, Enrico IV.

Gi Zeta

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