Del vero e del verosimile

La presenza di Arisa sul palco dell’ultimo recente Sanremo ha dato slancio ad un pensiero che covavo da tempo – almeno sin dai tempi della prima apparizione della suddetta Arisa sullo stesso palco – e che finalmente adesso sembra aver trovato la forma per manifestarsi. Ogni volta che la vedo o la sento risuona – o forse gracchia – ( non che voglia mettere in dubbio le capacità canore della suddetta cantante-ssa, non ne ho le competenze), come se si attivasse un play automaticamente, il motivetto della canzone che l’ha resa nota al pubblico di massa ed ovviamente anche a voi, a noi, a me.
Ed ogni volta che automaticamente questo play si mette in funzione ed il motivetto della canzone – “Sincerità”, Sanremo 2009, vincitrice sezione giovani. (A scanso di equivoci) – riecheggia nelle mie orecchie, io non posso fare a meno di iniziare a pensare attorno a quanto recita il della in questione canzone testo. Ebbene tale testo non mi convince per nulla: zuccherino su nota, affettato convenzionale retorico demagogico – imbarazzante! – mi piacerebbe poter dire imbroglio ma mi sa che non si può fare a meno di dire soltanto errore. E’ degno di un comizio politico. Non è un caso che abbia trionfato a Sanremo, covo ed espressione massima delle sopraelencate doti dell’italiana società. ( Ahimè, siamo proprio fatti così!). Il problema fondamentale di questo brano è che trasporta, celata più o meno bene dalla cantilena, una frottola bella e buona, ovvero quella che prevede che le relazioni umane, in particolare quelle grate a S. Valentino, Cupido o ai baci perugina stando alle vostre inclinazioni culturali, si basino su principi di onestà altruismo fedeltà lealtà amore e chi più ne ha più ne metta. E già mi viene da ridere. Considerare questa carrellata di qualità come intrinseche all’uomo è una svista madornale. L’unica qualità che l’animale umano possiede è l’appagamento del bisogno, traducibile nei più diretti termini dell’utilità. Per soddisfare il proprio bisogno l’uomo può fare uso, date determinate specifiche circostanze, delle sopraelencate sopra elencate. In linea di principio sono soltanto affezioni, divenute nel corso del tempo anche concetti, dei quali appropriarsene e servirsene, come qualsiasi altro arnese, come un paio di forbici, come un microscopio, un mattone, una scarpa, un dizionario, o quel che volete voi.
Spogliandoci un attimo di quello strato di perbenismo ed ipocrisia che contraddistingue la nostra condotta quotidiana, frutti indispensabili delle nostre evoluzioni sociali, togliendoci la maschera in piena controtendenza col periodo chiacchiero-coriandolico, potremmo concordare sul fatto che l’elemento essenziale – imprescindibile per rimanere ancorati al testo della canzone – per una relazione stabile non sia la sincerità, quanto piuttosto – molto probabilmente per non dire certamente – il suo opposto. O qualcosa di molto vicino. (No! Nemmeno l’amore all’arcobaleno sfugge questo principio). Non storcete il naso, sapete benissimo che è cosi, ogni istituzionalizzazione di qualsivoglia bisogno di qualsivoglia tipo in qualsivoglia ambito deve per sua natura rinunciare alla verità in nome dell’economia. L’equilibrio è l’elemento fondamentale, essenziale, imprescindibile. E l’equilibrio non ha nulla a che fare con la verità dell’uomo, riconosce soltanto la sua verità, cioè, anche in questo caso, l’utilità; la verità, la sincerità – come sopra – sono soltanto armi.
Questa probabile per non dire certa nozione è, però, decisamente pericolosa, mette a repentaglio troppe fondamenta, il marchingegno sociale – quello di natura borghese su tutti – rischia il tilt, ed allora si opta, si ripiega, ormai in maniera del tutto automatica, per l’opzione scarto: proprio così, la verità viene scartata a favore di un’idea che rientra nel meno problematico campo del verosimile, quel beato megamicrocosmo agghindato di fiocchetti e buona educazione, che deve certo ai precetti cattolici e a Walt Disney, e pure a Shakespeare perchè no, almeno una cena abbondante in un lussuoso e more expensive ristorante, e che domina in lungo e in largo le nostre acoscienti coscienze. Una roba davvero sublime. Il processo di rimozione di qualcosa di scomodo difatti è una consuetudine dell’umano comportamento. Chiedete pure alla psicologia qualora vi giovi una conferma. L’essere umano vive un mondo verosimile fatto di idee, di concetti romanticamente edulcorati che rimandano a quelli che sono i bisogni istintuali, naturali – le uniche vere verità – ma alterandoli: sfiorandoli, imbrigliandoli, soggiogandoli, comprimendoli o forse anche semplicemente incanalandoli, indirizzandoli su strade socialmente più salutari. (Si potrebbe divagare sulle prelibatissime questioni circa i lati positivi insiti nella bugia). Ad ogni modo, questi concetti si cristallizzano, diventano maestose cattedrali, fari comportamentali, formine alle quali ricondurre e ridurre i propri slanci emotivi. Diventano, freudianamente parlando, Super-io. E soprattutto, sono per l’economia della nostra così ormai definita società, utili. Ma l’utilità resta una cosa e la verità un’altra, attenzione. Il vero resta accuratamente soffocato. E’ socialmente inappropriato, destabilizzante. E’ molto più semplice (adesso) accusare qualcuno di tradimento, di viltà, egoismo, cattiveria e tutte quelle “cose brutte”, di aver infranto regole e cuori, piuttosto che tirar fuori la verità dell’uomo. La sua sporca naturale vera naturalità. Quelli che sono misfatti nel verosimile e naturalezza nel vero, tutto molto buffo, al limite del grottesco.
Stesso discorso può valere anche per la religione – in fondo amare è religione, essere è religione, quindi è facile accostarli – in questo caso specifico quella cattolica a noi più vicina, o che se non altro permea il fare sociale. Ebbene, posta l’indimostrabilità scientifica di Dio e quindi la sua “veritizzazione” assoluta, l’essere umano ne ha collaudato uno verosimile, sottoposto ad aggettivazione e intraprendenza prettamente umane, tratteggiato sui propri bisogni, in grado di costituire un riferimento, ma pieno di contraddizioni e psicosi tipiche della nostra condizione di animali mortali corteccio-dotati.
Ad ogni modo, ampliando un attimo la visuale sull’argomento, fiocca immediata una serie di quesiti di una certa rilevanza. Se accettiamo che il corpo sia verità e la mente, la corteccia nello specifico – quella parte che crea il verosimile attraverso elucubrazioni di più o meno elevata caratura – non lo sia, affermiamo che l’uomo è in buona sostanza un (non saprei davvero definirlo) mascherato, e che da quando la suddetta mente – si intende ovviamente la parte “culturale” del cervello, quella che ci permette il linguaggio, la speculazione etc, cioè la corteccia cerebrale – sia entrata in circolo nulla di effettivamente vero sia più esistito per l’animale uomo. E forse è un’esagerazione. Se è vero che utilizzando questa chiave di lettura, una tigre che deve tutto il suo comportamento all’automaticità della sua natura risulterebbe assolutamente vera, l’uomo cosi risulterebbe decisamente “non vero”? (1), e se una non verità si protrae nel tempo e sedimenta e si stabilizza, nel momento in cui diventa e vive non diventa essa stessa una verità? (2) Un “imbroglio” scritto nella storia è ormai una verità? (3), e se così fosse sarebbe contemporaneamente vero e non vero? (4).
“Sai cosa penso? Che questo aereoporto in fondo non è brutto, anzi, visto così dall’alto. Uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo, e invece non è così. In fondo tutte le cose anche le peggiori una volta fatte poi si trovano una logica una giustificazione per il solo fatto di esistere. Fanno ste case schifose con le finestre in alluminio i muri di mattoni, i balconcini, la gente ci va ad abitare e ci mette le tendine i geranei la televisione… dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio. Cioè esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza.” “Ho capito e allora?” “E allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte le manifestazioni e ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutare a riconoscerla, a difenderla.” Se per voi la verità corrisponde a bellezza, ci siamo detti tutto. D’altro canto però un’altra interpretazione si insinua immediatamente nella mia coscienza: in fondo pensandoci attentamente, chi ce lo fa fare. Chi ce lo fa fare di affannarci all’inseguimento della verità quando una semplice interpretazione sommaria delle cose può renderci tranquillamente, beatamente, felici? Perché mai la bellezza, la verità dovrebbero essere una priorità invece del piacere dell’utile scacciamostri; in fondo lo sappiamo benissimo di essere dei vili, e d’ogni necessità ne facciamo una virtù; perchè smontare questa impalcatura protettiva, non possiamo restare a vivere sulle nostre palafitte invece di dover scendere per forza a terra? Mica siamo come gli altri animali noi. Del resto i casi di scoperta della verità pura sono rari e pieni di implicazioni, complicazioni, che davvero non mi pare il caso. Per quale ragione poi approfondire sarebbe meglio di godere? E’ risaputo che una sana, tranquilla, mediocre superficialità rende la pelle liscia, il cuoio capelluto vigoroso e lucente, il battito cardiaco regolare e tiene lontana l’insonnia.

Stello Puliafito

1 Commento
  1. Amelia Rizzo
    Amelia Rizzo

    Sincerità e Verità non sono propriamente sovrapponibili, posso essere assolutamente sincero dicendo quello che è vero per me, non tanto i fatti, ma come io li ho filtrati ed interpretati, il significato che hanno per me, le emozioni che mi hanno suscitato, che sono certamente vere. Qui si soffre di relativismo e solipsismo: è molto difficile uscire dal proprio punto di vista, che, come dici tu, è tranquillizzante. Quindi rimane encomiabile il tentativo di una riflessione sopra le righe e in tal senso coraggiosa. Bravo.

    06/03/2015 at 10:30

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