Determinati a tempo indeterminato

Spiegarlo ai nostri cari non è certo stato facile. Abituarli a ciò che loro non hanno vissuto è stata un’ardua impresa. Un po’ come introdurli alla tecnologia. Whatsapp, Facebook, Instagram. Nomi sconosciuti e storpiati per anni, alla fine sono entrati prepotentemente anche nella loro quotidianità. Lo hanno fatto per noi. Per sentirci più vicini. Però è evidente che ci hanno capito, o forse, fingono di capirci pur di non demoralizzarsi e demoralizzarci. Spiegare l’utilizzo e la pronuncia di Facebook non è stato poi così diverso da abituarli alla logica che un figlio stipuli dei contratti di lavoro a termine.

Termine: che brutta parola. Qualcosa che inizia e sai già quando finisce. Tutto finisce, tutto passa, ma il bello della vita è non sapere quando. Giocarsi le carte fino alla fine ci permette di sentirsi in ballo. Invece nel mondo del lavoro, no. Sei in scadenza. Come uno yogurt che sta in frigo da tempo. E non c’è “ricetta” che si possa mettere in pratica per mantenere la lunga conservazione. Nei nostri tempi, quello che scade si butta. Non si riutilizza. Gli alimenti, come le persone. Cosa fondamentale è portare avanti la mission, con convinzione e forza. Che sia un anno, sei mesi, uno solo o una settimana, un giorno o qualche ora. Comunque devi dare il massimo. Sempre. Non importa sapere di essere in scadenza, ciò che conta è sperare in una proroga.

Proroga: che bella parola. Qualcosa che continua, sempre in un tempo circoscritto ma che ci permette di calare i famosi jolly che avevamo conservato tra le nostre mani, per preparare il terreno a una chiusura spettacolare. In solitaria, ma da vincenti.

Non c’è compagno di gioco, né avversario. Stiamo tutti giocando o forse no. Forse, chi gioca sono gli altri e ahimè, le carte siamo noi. Ma se non ci fanno scegliere le regole, il gioco, la durata e la modalità, possiamo almeno scegliere che carta possiamo essere? Io da buon siculo, opterei per l’asso di mazze. Perché questa carta mi fa tornare in mente una canzone che si dovrebbe sostituire all’amorevole  ninna nanna, cantataci quando eravamo in fasce.

Chi ti lamenti, ma chi ti lamenti. Pigghia nu bastuni e tira fora li denti.”

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Adriano Oteri

Messinese, classe 1985. Perito industriale, con qualche difficoltà nel riconoscere la differenza tra un cacciavite a stella e uno italiano. Nel percorso universitario decide di seguire le sue passioni, laureandosi in Scienze Politiche. Poliedrico ed estroverso, coltiva sin da bambino una passione smodata per la musica e il canto. In campo lavorativo ha ricoperto diversi ruoli, nel ramo amministrativo e legale, in società private e nel settore della Pubblica Amministrazione. Ad oggi si occupa di selezione del personale e vive fuori Messina. Fermo sostenitore dello Stato di Diritto, per Scirokko scriverà nella rubrica #ilGiuda dedicata ad inchieste, temi sociali e attualità.
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