LE VOCI DENTRO- con Sara Nicoletti e Stefania Palmieri

VENERDì 15 GENNAIO
H. 19,30 – APERITIVO SOCIALE ** PITONI DELLA CASA! **
H. 20,30 – INIZIO SPETTACOLO

Durante la serata verranno presentate e raccolti contributi per la CASSA ANTIREPRESSIONE DELLE ALPI OCCIDENTALI e la campagna PAGINE CONTRO LA TORTURA http://contromaelstrom.com/2015/09/29/appello-per-la-campagna-pagine-contro-la-tortura/

LE VOCI DENTRO
Lettura liberamente tratta da “L’università di Rebibbia” di Goliarda Sapienza
Adattamento teatrale, regia, voce: Sara Nicoletti
Canti: Stefania Palmieri

Dal sé all’altro, dall’individuo al collettivo: la narrazione de “L’università di Rebibbia”rimbalza continuamente su due piani, rivelando già al primo incontro -dopo l’isolamento che segna l’arrivo- sulla soglia della galera dove la storia ha inizio, attraversando poi mille altre soglie nell’aperto-chiuso delle celle, la verità ultima e la chiave per la sopravvivenza: non c’è distanza né possibilità di separazione tra il sé e l’altro, che sia guerra/scontro fisico o rapporto d’amore/fiducia. Ci si scopre “larva” cullata fin dalla nascita nel mondo di fuori della società bene, così comincia la forzata decostruzione del Sé: educazione, convinzioni e convenzioni, il carcere lacera fin da subito la fragile pelle messa insieme pezzo per pezzo a rivestire l’individuo perché sia Persona adatta al vivere in (questa) società.
Il carcere vissuto poi raccontato da Goliarda Sapienza raccoglie le voci delle Donne che lo “abitano”, consegnandoci un universo che se per alcuni tratti somiglia al mondo che lo produce (eliminando qualsiasi possibilità di dubitare della necessità della sua distruzione), in altri provoca lacerazioni profonde -stupore, nostalgia- per l’essenzialità dei gesti nel vivere quotidiano che si traduce in una totale mancanza di compromesso: “attenzione e solidarietà assoluta a chi ti è amica, ostruzionismo completo a chi ti è nemica”. Tolta la possibilità della menzogna dalla necessità del sopravvivere al/nel Luogo ostile, emerge fiera la Vita profonda, il Linguaggio primo, come lei definisce il capirsi immediato tra le compagne, che non passa dalla parola ma la usa come rimedio nel momento del bisogno: perché quando crolla una, si crolla tutte. All’accumularsi di nuove consapevolezze fa da sfondo –e ne è la causa principale- la vita in comune, che apre varchi là dove non c’erano, e intreccia vite e destini: l’intellettuale borghese, la “delinquente abituale”, le “politiche”, le detenute per spaccio di droga che iniziano ad alterare la composizione sociale della popolazione carcerata (è il 1980, cinque anni dopo la riforma che tingerà democraticamente tutto di rosa per mascherare alla meglio nuove torture inflitte alle detenute).

Leggere a voce alta quella che è una testimonianza personale ma inevitabilmente politica sul carcere, dare voce a una voce di donna -che, a suo tempo, rimase a lungo inascoltata (l’opera più importante che impegnò Goliarda Sapienza per dieci anni, “L’arte della gioia”, fu pubblicata postuma nel ‘98)- e con essa alle altre voci che nel racconto s’intrecciano alla sua, quasi che il corpo di una diventasse di tutte, aggiunge qualcosa al non detto su questo “sconosciuto pianeta che pure gira in un’orbita vicinissima alla nostra città [di cui] tutti pensano di sapere tutto esattamente come la Luna senza esserci mai stati”. E’ una voce per sottolineare il confine sempre più sottile tra quelle mura e lo spazio intorno che ci illudiamo essere “libero”, ma ogni giorno tradisce la mostruosa voracità di una città che si fa galera per annullare corpi e spiriti.
Alla voce narrante, che dà corpo a quella dell’autrice e delle sue compagne, s’intreccia la voce del canto, che fa di uno, centinaia, miliardi di corpi a contenere quelli che nei due secoli dalla nascita dell’istituzione carceraria sono stati rinchiusi nelle celle delle carceri di tutto il mondo.