Giuseppe Siracusa: “In kitsch we trust”

Il Villino Liberty di Barcellona Pozzo di Gotto, ancora fino al 13 Novembre, ospita “In kitsch we trust”, personale di Giuseppe Siracusa, curata da Valentina Certo e Andrea Italiano.

Abbiamo fatto due chiacchiere con l’Artista per voi.

Giuseppe Siracusa, artista siciliano (di Barcellona Pozzo di Gotto) giovane ma che appare con le idee chiare. E’ così? Parlaci un po’ di come ti sei avvicinato all’arte; hai capito da subito che essa era la tua strada?

“Suonerò scontato in questo, disegno da sempre e col tempo ho capito quanto fosse per me un’esigenza quasi fisica. Per un periodo discretamente lungo ho anche riposto i pennelli, ma continuavo a guardare il mondo come se dovessi farlo rientrare nei confini di una tela, e come vedi poi ho ripreso. Per quanto riguarda i miei primi passi, a dodici anni ho iniziato a frequentare un corso di pittura in un paesino qui vicino Barcellona P.G. e questo è stato il mio primo approccio alla pittura ad olio, ma ho ricordi di me, con in mano il libro di educazione artistica, incantato da un dipinto di Giuseppe Recco con un vaso di fiori che sbuca dal buio, o ancora un ritratto a lume di candela di G. Shalken. Credo questo risponda in parte anche alla prima domanda sull’avere le idee chiare: ho sempre saputo cosa mi piace, la buona pittura, le atmosfere cupe ed una certa dimensione estetica decadente. La parte più difficile è stata forse confrontare questo aspetto formale ‘dal passato’ con le esigenze attuali dell’uomo (le mie nello specifico) e con la cultura artistica contemporanea”.

Sei uno di quei giovani artisti che vivono e lavorano nel proprio luogo natìo. Per te è un resistere o una soddisfazione o ancora entrambe?

“Non mi sono posto molto questo problema: sono qui perché le circostanze mi tengono qui, ma potrei essere altrove. Quel che posso dirti, però, è che evito con cura i bruschi cambiamenti e gli scossoni emotivi che mi impediscono di lavorare e mi distraggono. Quiete e tranquillità sono condizioni necessarie perché prenda i pennelli. Sono comunque molto legato al territorio, a certi luoghi, a certe atmosfere prettamente siciliane che, devo ammettere, sto imparando a conoscere e ad apprezzare”.

Come vedi la figura dell’artista in Sicilia?

“Non so se l’essere in Sicilia comporti differenze sostanziali, direi che la distinzione da fare sia forse quella fra i grandi centri (l’essere vicini a manifestazioni come la Biennale di Venezia, ad esempio) ed i centri più piccoli. Di certo le grandi città offrono molte più opportunità di emergere. Detto questo, mi pare ci siano molte realtà interessanti in Sicilia; più o meno valide, importanti e conosciute. C’è molto fermento e molta voglia di fare cultura. Personalmente faccio ‘vita ritirata’ e cerco di viaggiare il più possibile per cercare stimoli adatti a me. Ma -concedimi il sarcasmo- sono convinto che vivere in un piccolo centro mi salvi dal dover sorbire molta “paccottiglia””.

A detta delle tue opere, anche di quelle di “In kitsch we trust”, sei giovane ma con una identità ed una conoscenza della condizione umana ben consapevoli. Sei d’accordo?

“Come ho già accennato ho dei gusti molto definiti, so cosa mi piace e cosa mi coinvolge ed uso questa consapevolezza come punto fermo attorno al quale far ruotare il magma di dubbi ed insicurezze che credo si accompagnino al percorso umano ed artistico di chiunque, specie quando provo a proiettare il mio lavoro nel futuro, quando mi lancio ad immaginare le possibili evoluzioni, a considerare nuovi spunti di ricerca. Poi finisce sempre che vado avanti ad intuito, ma questo lavorìo mentale mi rende più presente a me stesso.

Naturalmente alcuni lavori possono risultare più difficili da contestualizzare, ma provando a guardare “a volo d’uccello” immagino si possano scorgere i fili che legano tutto. A questo proposito, per “In Kitsch We Trust” è stato fondamentale il lavoro dei curatori  Valentina Certo ed Andrea Italiano. I  lavori sono stati suddivisi in quattro macrocategorie (ritratti, “santi”, nuovi lavori e disegni), ogni sala è dedicata ad una categoria per finire nelle ultime due sale del Villino che raccolgono i disegni. E’ una specie di percorso inverso,  che dalla pittura porta al disegno; un ritorno all’embrione”.

Dai tuoi lavori sembra che la tua massima espressione, come artista e come essere umano, la trovi nei nudi, corpi fatti con maestria, che appaiono svelare una attenta conoscenza anche della scultura, perfetti o decadenti, di uomini e donne un po’ santi ed un po’ assolutamente umani. Esseri creati da una entità superiore (per chi ci crede, ovviamente) e per questo ritratti nudi ed anche erotici ma con l’aureola oppure esseri che dimostrano che in fondo la “santità” non esiste perché su questa terra siamo proprio tutti uguali?

“Sì, hai assolutamente centrato, i nudi sono, attualmente, fra i soggetti che più amo dipingere. Sono onesti: i corpi nudi non mentono e sono liberi dal vincolo culturale dell’abito e per questo parlano ‘a tutti’ e ‘di tutti’ (così mi pare!).

Credo che lo stimolo iniziale per questi lavori sia stato prettamente erotico. E’ stato di conseguenza che ho iniziato a rappresentare il corpo come quasi un oggetto, un ammasso di carne e muscoli santificato, quindi una sensualità santificata.  Penso, comunque, sia quasi una via di mezzo rispetto alle alternative da te proposte: un’esaltazione della sacralità della materia e del corpo.

Non sono credente e non penso questi lavori con risvolti metafisici, anche se per ovvie ragioni possono essere visti così (e la cosa non mi dispiace).  Cerco piuttosto di evitare qualsiasi implicazione sociale o ‘moraleggiante’, anche se poi sono significati quasi impliciti, del resto siamo tutti, prima di tutto, carne”.

Soprattutto nei nudi sopra detti pare evidente un richiamo alle opere di Francis Bacon. Concordi? Come Bacon, i “tuoi” corpi vogliono, forse, farsi portatori di una contemporanea e brutale verità che si trasforma in emozione diventando stupore e meraviglia?

“Sono estremamente lusingato dell’accostamento a Bacon. C’è di certo qualcosa che ci accomuna nell’atteggiamento, forse la brutalità che tu stessa sottolinei, il richiamo erotico e la carne. Questa brutalità nei miei lavori mi pare sia diventata occasionale (ad esempio è più tipica dei santi e di alcuni disegni) mentre in Bacon è un leitmotiv. Ovviamente sotto l’aspetto pittorico sono due mondi diversi. Bacon partiva da Picasso, io mi ispiro fondamentalmente alla pittura accademica tardo ottocentesca e del primo Novecento, quasi a voler fare tabula rasa del modernismo. E’ in questo senso che mi ritengo anacronistico e kitsch”.

Una curiosità: in “Kitsch we trust”, così come in altre tue mostre, ricorrono spesso numerosi tuoi autoritratti. Vuoi spiegarci il motivo (se c’è)?

“Immagino ci siano diverse ragioni e non credo di essere consapevole di tutte. La prima e più banale è sicuramente una questione di ego; poi c’è da dire che considero il dipingere i corpi e i volti come un modo di appropriarmene, di farli miei, di inserirli nella mia memoria, da questo punto di vista è un modo di ricordarmi di me stesso, di prendere familiarità con le mie fattezze.

Poi c’è una ragione meramente pratica, non sempre – ahimè – ho modelli disponibili al mio capriccio (risate ndr)”.

 

Ultima, immancabile domanda in una intervista… Programmi futuri?

“Riprenderò a lavorare in tranquillità dopo la frenesia pre-mostra in vista di un’altra, stavolta piccola, in programma ad inizio 2017”.

Laura Faranda

Laura Faranda

Nata a Messina nel 1984. Critica e curatrice di Arte Contemporanea. Anche Dottore di Ricerca in Geografia Umana e Culturale, per questo particolarmente sensibile all'interazione arte/territorio. Ama l’arte ed ogni suo riflesso: dalla tradizione artistica medievale alle espressioni di avanguardia, purché non si cada nel cattivo gusto. Desiderosa di conoscenza, sperimenta spesso i più diversi canali di ricerca. Per scirokko.it cura si occupa di critica d'arte contemporanea e della promozione di nuovi artisti e di eventi culturali messinesi e siciliani.
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