La marcia di Radetzky

Un libro bellissimo, una storia lunga e lontana che corre inesorabilmente verso la fine, in modo irreversibile ma al tempo stesso sereno, di quella malinconica serenità legata alla conclusione inarrestabile delle cose, anche delle più belle che sembrano sempre essere eterne.

E’ la storia  di un giovane ufficiale di un impero austro-ungarico in completo disfacimento e che la prima guerra mondiale poco dopo spazzerà via, il cui nonno contadino, per avere salvato la vita del vecchio imperatore Francesco Giuseppe nella battaglia di Solferino, sarà decorato e nominato Barone. Questa nomina porterà nella famiglia un’aurea di rispetto e considerazione nel piccolo villaggio natio e darà al padre la possibilità di essere nominato Prefetto dell’impero.

La marcia di Radetzky è la musica che viene suonata di fronte la casa del prefetto dalla banda del villaggio nella domenica di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno.

Un padre schiavo delle regole sociali e del suo ruolo, che durante l’infanzia del figlio gli impedirà, seppure in buona fede ed in ossequio al ruolo rivestito, di coltivare qualsiasi vocazione, fino a plagiarlo.

Ma il giovane sottotenente, Carl Joseph, sbattuto ai confini orientali del morente impero, avrà modo di sperimentare la progressiva rovina di tutto, anche di quel mondo a sé che era l’esercito più forte d’Europa.

Ufficiali e soldati che cercano nell’alcol, nel gioco d’azzardo, nelle donne ed in molto altro ragioni e motivi non soltanto del loro ruolo ma anche della loro esistenza. Carl Joseph, dopo anni di illusioni e sofferenze, decide – senza astio ma anzi con una grande compassione verso sé stesso ed il suo mondo – che è arrivato il momento di fermare tutto. Insieme a lui, che morirà volontariamente in uno scontro armato in una azione di guerra, muore un mondo che non esiste più e che non poteva reggere ad un terremoto che fu al tempo stesso culturale, politico, militare e sociale.

Carl Joseph prova a non rinunciare a nulla, cerca di vivere in modo pieno tutte le esperienze, ma queste non lo appagano mai, perché in realtà è nel disfacimento di quelle che lui riteneva certezze (e prima di lui suo padre, e prima di suo padre suo nonno) che alberga la sua infelicità. Tanta solitudine, alla fine, ispira tenerezza.

Un libro bellissimo con pagine di un lirismo eccezionale, mai monotono, un romanzo affascinante che riesce a dare il senso dell’universalità del crepuscolo della storia, della storia di un uomo, di un’epoca, di un sistema sociale, insomma di un mondo.

La marcia di Radetzky, di Joseph Roth, 1932 – Milano, Adelphi, 1994

Alfredo Ambrosetti

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