Omofobia e omocidi

Il termine “omofobia” deriva dal greco όμός (stesso) e φόβος (paura) e letteralmente significa “paura dello stesso”. Ma il prefisso omo rimanda anche al termine “omosessuale”, per cui con questa accezione si intende, oggi, “paura dell’omosessuale”.

Questo termine venne utilizzato per la prima volta nel 1971 da Smith e l’anno successivo dallo psicologo clinico George Weinberg, che annoverava l’omofobia tra le fobie specifiche, nonostante essa non compaia in nessuna classificazione clinica diagnostica, ma venga utilizzata per lo più con un’accezione generica.

Da un punto di vista sociologico, l’omofobia può essere considerata come una convinzione sociale radicata, che passa attraverso lo stigma sessuale, ossia il convincimento che tutto quello che non risponde alla comunità eterosessuale sia negativo e, per questo, declassabile ad una condizione di inferiorità.

Gregory Herek, professore di Psicologia all’Università della California, ha costruito un modello di riferimento, in base al quale l’omofobia può essere concepita come la risultante di un fenomeno individuale rispondente a quattro funzioni:

  • Esperienziale: l’omofobia sarebbe legata ad un’esperienza passata con omosessuali, che viene estesa e generalizzata;
  • Valoriale: l’omofobia sarebbe associata a un conflitto di valori;
  • Ego-difensiva: l’omofobia sarebbe associata ad ansia e a conflitti interiori che vengono fronteggiati attraverso l’esternazione e la proiezione nei confronti di persone omosessuali;
  • Adattamento sociale: l’omofobia sarebbe frutto del bisogno di approvazione e accettazione all’interno di un gruppo di riferimento.

Diventa chiaro, dunque, che l’omofobia coinvolge due dimensioni: quella psicologica e quella sociale, quest’ultima riconducibile ad una forma di discriminazione (come lo sono anche la xenofobia, il razzismo, l’antisemitismo, il sessismo).

Se volessimo fare un’ulteriore distinzione, dovremmo dire che l’omofobia può essere di due tipi: generale o specifica. Nel primo caso, la discriminazione avviene sulla base del sesso: l’uomo e la donna vengono identificati con una serie di segni distintivi che confermano l’appartenenza al loro genere e, quando questo non accade, l’identità più profonda di un individuo viene minata alla base, così da generare forme di difesa nei confronti del proprio sesso, che assumono le sembianze di atti discriminatori. Il secondo caso è presente quando l’intolleranza e il fastidio vengono indirizzati nello specifico a gay e a lesbiche (gayfobia e lesbofobia); nei confronti delle lesbiche, la discriminazione è duplice, perchè si rivolge sia al suo genere (essere donna) che alla sua sessualità (essere lesbica).

Numerose  ricerche scientifiche hanno individuato alcuni fattori ai quali l’omofobia può essere correlata ma che, da soli, non bastano chiaramente a spiegare i meccanismi che strutturano una personalità omofobica. Per esempio: tra gli adolescenti, al crescere dell’età diminuisce il fenomeno; tra le donne si registrano meno episodi omofobi rispetto che tra gli uomini e la stessa discrepanza si registra tra coloro che vivono nelle grandi città rispetto a coloro che provengono dai contesti rurali. Inoltre, gli uomini più conservatori – che sono portati a credere che l’omosessualità sia una scelta (quella di rifiutare il loro genere) – risultano essere più portati verso l’intolleranza, perché sentono minata quella norma eterosessuale che per loro non può – in alcun modo – essere messa in discussione; questo attenterebbe anche alla funzione generativa che, nell’immaginazione di un soggetto profondamente conservatore, apre scenari terribili di un mondo privato della sua funzione riproduttiva. Anche la concezione di se stessi inciderebbe sugli atteggiamenti omofobi, laddove l’omofobia viene concepita come un meccanismo di difesa finalizzato al mantenimento di un’immagine positiva di sé, ottenuta mediante l’adesione a certi stereotipi. Esisterebbe un’associazione anche tra omofobia e religiosità, per cui chi pratica una religione monoteista, in modo formale e rigido, è molto più portato a manifestare atteggiamenti omofobi rispetto a chi, invece, vive la sua fede in modo spirituale, interiorizzando il concetto di tolleranza che è, poi, un precetto cristiano.

L’omofobia, inoltre, è spesso il frutto di numerose fantasie, che partono da convinzioni prive di fondamento scientifico o razionale. Una delle paure più spesso manifestate dal mondo adulto omofobo è quella della “contaminazione”, come se l’omosessualità possa essere trasmessa alla stregua di una malattia; ecco spiegato perché alcuni adulti siano profondamente reticenti nell’affidare i propri figli a soggetti omosessuali.

Si è dibattuto a lungo sulle cause, presunte o reali, che spingono un soggetto a provare un irrazionale fastidio nei confronti dei gay, fino ad essere giunti – nel campo della psicoanalisi – alla teoria della “proiezione”: l’omofobo, in realtà, rifiuterebbe qualcosa che è presente dentro di lui, sviluppando fastidio per le tendenze omosessuali che rintraccia fuori, ma che riconosce dentro se stesso.

In passato, le storie di cronaca ci raccontavano soprattutto di omosessuali autori di reato: il giovane gay, costretto a contrastare l’emarginazione sociale, il pregiudizio, la negazione dei diritti e tutta la sofferenza che ne derivava, poteva sviluppare l’omofobia interiorizzata. In pratica, può accadere che l’omosessuale interiorizzi tutti i messaggi negativi che la società gli invia, strutturandoli dentro di sé e sviluppando un’omofobia uguale a quella di cui è vittima. Questo ci direbbe molto sul vissuto di profonda sofferenza che tanti gay si trovano a fronteggiare (spesso senza il supporto di nessuno) e che può essere correlato all’insorgenza di stati psicologici negativi come la depressione, gli attacchi di panico, l’ansia generalizzata fino a giungere a tentativi di suicidio.

Ma oggi, la criminologia è molto attenta allo studio dei crimini commessi contro gli omosessuali: i cosiddetti omocidi. Questo tipo di omicidi ha come solo movente ragioni legate alla sessualità della vittima la quale, in molti casi, è passata attraverso altri fenomeni di violenza prima di incontrare la morte. Nel nostro Paese esiste un consistente numero oscuro relativo a questo fenomeno, dovuto essenzialmente al fatto che molte violenze, a danno di omosessuali, non vengono denunciate per paura di mettere a conoscenza la famiglia di una sessualità tenuta volutamente nascosta, oppure per timore di subire – da parte della società – quella stigmatizzazione a seguito della quale, la vita di chiunque, ne risulterebbe profondamente invalidata.

Pertanto, agire sulla prevenzione, oggi sembra la strada più sicura da seguire; in attesa che anche la legge tuteli le persone omosessuali e dia rilevanza giuridica a tutti quei crimini che hanno un movente omofobo.

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Criminologa ed Esperta al Tribunale di Sorveglianza di Messina, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Criminologia. Oggi prosegue i suoi studi in Psicologia, coniugando studio e lavoro. Studiosa del fenomeno criminoso e dei fenomeni carcerari, nella loro complessità, cura la rubrica di Criminologia di scirokko.it, occupandosi dell'analisi e della divulgazione delle fattispecie criminologiche.
4 Commenti
  1. Avatar
    Maria

    L’omofobia: un’enorme e triste piaga di questa società malata!
    Gran bell’articolo! Da diffondere!

    27/01/2015 at 10:41
    • Avatar
      enza

      Una triste realtà, e tutti dovremmo essere educati nell’ accettazione del “diverso” . Ottimo articolo.

      27/01/2015 at 11:38
  2. Avatar
    Francesco

    Bell’articolo, come sempre.

    27/01/2015 at 21:02
  3. Avatar
    benedetta

    Bell’ articolo, che tratta il problema dell’ omofobia con competenza e scrupolosa attenzione.

    29/01/2015 at 9:48

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