Pubblicità sessista. Quando si supera il limite della decenza

La scorsa settimana la rubrica IoTeleKomando ha voluto compiere un viaggio nel tempo, ricordando alcune delle pubblicità, trasmesse dalla televisione italiana che hanno segnato il decennio dei nostalgici anni 80, portando alla memoria vecchie canzoncine, alcuni volti, poi del tutto caduti nel dimenticatoio dell’etere, e famosi slogan che tuttora sono utilizzati per la sponsorizzazione di prodotti vari (ad esempio lo stranoto “Dove c’è Barilla c’è Casa”).

Dalla pubblicazione di quell’articolo poi si sono sviluppate alcune riflessioni, sempre collegate al mondo della pubblicità che, per il suo potere comunicativo, oltre a veicolare un messaggio commerciale, ha la potenza di influenzare usi e costumi della società “televisiva”, e lo fa, sempre più spesso, superando i limiti della decenza visiva e educativa, rischiando di essere etichettata con l’epiteto di pubblicità sessista. Ed è di questo che parleremo nello spazio dedicato alla televisione, ovvero di quanto sia realmente necessario utilizzare atmosfere, immagini, situazioni che evocano un contesto ambiguo, spinto, quasi erotico, per richiamare l’attenzione su prodotti che di ambiguo, spinto e quasi erotico hanno ben poco.

Non vogliamo essere “bacchettoni” o rappresentare una categoria sociale dalla dichiarata chiusura mentale, ma è sotto gli occhi di ogni spettatore, anche poco concentrato su quello che sta vedendo alla tv, che tra un programma e l’altro, e soprattutto a qualsiasi ora della giornata – quindi senza il rispetto dei limiti delle fasce orarie da bollino giallo o rosso imposti della Commissione parlamentare per l’infanzia – vengono lanciati spot dove a fare da padrone non è il prodotto in sé ma quanto la presenza di un corpo femminile poco vestito, o momenti di coppia, decisamente intimi. Tutto questo può essere accettato quando ad essere pubblicizzati sono elementi che necessitano di immagini simili, come ad esempio il caso di indumenti intimi. O ancora, quando invece si tratta di prodotti dall’esplicita funzione relativa all’attività sessuale, vedi spot di preservativi e oli specifici. Niente di sconvolgente considerando che il messaggio è legato alle immagini.

Il nostro interrogativo sorge quando ad essere lesa è la figura della donna, brutalmente utilizzata come calamita per ipotetici acquirenti, lecitamente attratti da quello che la tv trasmette. Ma se il consumatore crede di avere davanti a sé solo una bambolina impegnata in qualsiasi tipo di esercizio, quello che davvero si nasconde è lo svilimento del ruolo della donna, per compensare forse una mancanza di creatività da parte dei professionisti della pubblicità – che ripiegano a spudorati stratagemmi – i quali però, a loro volta, difendono le loro scelte giustificandosi affermando che è il pubblico a richiedere sempre più facili nudità. Non sta a noi decidere di chi sia la responsabilità di chi decide cosa, o di chi si presta a produrre queste pubblicità, di certo si sta rendendo necessario che le campagne pubblicitarie vengano controllate, e non parliamo di censura, ma semmai di correttezza e decoro, da un organo preposto esclusivamente a questo scopo, con il fine di salvaguardare la figura femminile e la parte di pubblico di minori, alla quale negli ultimi anni è stata del tutto privata la vecchia e cara “TV dei Ragazzi”, ma di questo ne parleremo prossimamente.

Dario Donnina

13/01/2015

Dario Donnina

Dario Donnina

Giornalista trentaquattrenne messinese, laureato prima in Lingue e Letterature Straniere, poi in Metodi e Linguaggi del Giornalismo presso l’Università di Messina. Ha trascorso periodi di studio e lavoro all’estero. Dal 2011 al 2013 coordinatore dell’Hay Festival Segovia, evento internazionale che si svolge ogni settembre a Madrid. Su scirokko.it è sua la firma della rubrica Storie.
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