Taman Shud – Il mistero dell’uomo di Somerton

Novembre 1948 – Adelaide, Australia: siamo in piena guerra fredda, quando su una spiaggia viene rinvenuto il corpo senza vita di un uomo di mezza età, ben vestito e particolarmente curato; con sé l’uomo non porta nessun documento identificativo, solo qualche oggetto personale tra cui dei biglietti del treno. Lo sconosciuto, trasferito nell’ospedale più vicino, viene sottoposto ad autopsia; questa rivela che l’uomo, su cui non vengono ritrovati segni di violenza, è venuto a mancare a causa di uno scompenso cardiaco. La prima ipotesi è quella dell’avvelenamento a causa della grande quantità di sangue trovatagli nello stomaco, tuttavia l’organismo della vittima risulta dai test privo di veleni, rendendo come unica spiegazione plausibile quella dell’uso di sostanze estremamente rare che non lasciano alcuna traccia in corpo, veleni così pericolosi che si preferì in un primo momento non diffonderne i nomi.

Nonostante gli innumerevoli tentativi, le autorità non riescono a svelare l’identità della vittima. Le impronte digitali del cadavere vengono prelevate e distribuite, prima in Australia poi nel resto del mondo, e a migliaia viene mostrato il corpo nella speranza di un riconoscimento. Ma ogni tentativo si traduce in un buco nell’acqua, anche quando in una stazione vicina viene rinvenuta una valigia abbandonata contenente un rocchetto dello stesso filo usato per la cucitura di una toppa nei vestiti della vittima. La polizia locale concluderà che questa sia stata lasciata col fine di depistare le indagini.

La prima svolta di rilievo nelle indagini si ha solo dopo diversi mesi, quando in seguito ad una seconda analisi dei vestiti viene rinvenuto – in una tasca segreta cucita nei pantaloni della vittima – un foglietto con su scritto “Taman Shud”, letteralmente “finito” o “concluso”; questo risulta essere stato strappato dalla pagina di una raccolta di poesie persiane, le Rubʿayyāt. Dopo una serie di ricerche finalizzate al ritrovamento del tomo in questione, un uomo, rimasto anonimo, porta alla polizia il tanto ricercato libro, sostenendo che questo sia stato lasciato nei sedili posteriori della sua auto rimasta aperta in un parcheggio circa due settimane prima del ritrovamento del corpo; confermatane l’autenticità, sul retro del tomo vengono ritrovate delle leggere scritte a matita, probabilmente un codice segreto, che tuttavia posto all’attenzione dei più eminenti crittografi locali non portò ad alcun risultato. Vicino le scritte anche un numero di telefono, appartenente ad un’infermiera, Jessica “Jestyn” Thomson. Questa, convocata dalle autorità, in un primo momento sembra restia a collaborare, facendo dichiarazioni vaghe e poco chiare, ma in seguito confessa di aver regalato una copia del Rubʿayyāt ad un uomo conosciuto durante la guerra, Alfred Boxal. La polizia, sicura di aver finalmente identificato lo sconosciuto, trova tuttavia Boxal in perfetta salute e con la sua copia del Rubʿayyāt perfettamente intatta. Da questo momento prendono piede diverse indiscrezioni, secondo le quali Alfred Boxal avrebbe svolto attività di intelligence durante la guerra e che portano a credere che il misterioso cadavere fosse una spia russa avvelenata. Ad avvalorare questa ipotesi la morte, a pochi mesi di distanza da quella del nostro sconosciuto, di uno dei membri del dipartimento del tesoro statunitense, sospettato di essere una spia russa, per avvelenamento da digitale, veleno estremamente raro che non lascia alcuna traccia nell’organismo della vittima. Queste indiscrezioni tuttavia saranno destinate a restare tali, risultando il caso ancora oggi irrisolto.

Alessandro Longo

Alessandro Longo

Alessandro Longo, classe 1992. Laureando in Relazioni Internazionali e Politiche presso l’Università di Messina, è nato e cresciuto a Torre Faro. Scrive su scirokko.it per la rubrica “Giallo Vintage”, occupandosi della ricostruzione e della narrazione di vecchi casi che, per il loro impatto sociale, hanno interessato la cronaca nera non solo italiana, ma di tutto il mondo.
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