Violenza sugli uomini: perchè è un tabù?

Fare della violenza una questione di genere è quanto di più pericoloso possa esistere. Per affrontare la questione, è opportuno non incappare in quei pregiudizi (dettati dagli stereotipi) che – come abbiamo già visto in Femminicidio: ogni due giorni, una donna viene uccisa – producono solo effetti perversi e non ci permettono di analizzare la questione in maniera obiettiva. Per cominciare a farlo, si riporta la definizione che la Treccani dà del termine violenza.

«Atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi d’offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei beni o diritti. In senso più ampio, l’abuso della forza (rappresentata anche da sole parole o da sevizie morali, minacce, ricatti) come mezzo di costrizione, di oppressione, per obbligare cioè altri ad agire o a cedere contro la propria volontà».

Questa definizione di violenza, che presuppone l’uso della forza fisica ma anche l’abuso della forza delle parole e delle minacce, non è solamente un fatto di genere. La convinzione che il “gentil sesso” sia incapace di fare del male affonda le sue radici su un pregiudizio atavico di cui complice (inconsapevole) è lo stesso uomo. Uno schiaffo ricevuto da una donna da parte di un uomo crea allarmismo, mentre il contrario non suscita uguale sdegno anzi, forse, fa sorridere; una donna sottoposta alla violenza delle minacce, delle vessazioni, delle costrizioni e dei condizionamenti mobilita le istituzioni e l’opinione pubblica, mentre nel caso contrario viene taciuta. Eppure si potrebbero riportare innumerevoli casi in cui è lui, l’uomo, la vittima della violenza. Forse appaiono più raramente nelle prime pagine dei giornali; forse la violenza di cui si rende autrice la donna viene ironicamente accettata o sottovalutata. Ma quello che è certo è che esistono. Complice di questo doloroso silenzio – che vede tantissimi uomini vivere condizioni di vita assolutamente inammissibili – è, come si è detto, lo stesso uomo, che oppone resistenza nel denunciare (e, ancor prima, nel riconoscere) le violenze subite per mano delle proprie compagne o ex compagne, nella convinzione che una tale ammissione lederebbe la sua virilità. Tutto questo, contribuisce ad alimentare quel numero oscuro che oggi fa gridare ad un solo allarme: no alla violenza sulle donne.

In Il figlicidio materno abbiamo visto come la donna sa macchiarsi del peggior crimine esistente, ossia l’uccisione del proprio figlio, e sempre la donna si macchia più frequentemente di reati che la conducono in carcere (nonostante le detenute in Italia siano poco più del 4% dell’intera popolazione carceraria). Ma l’attualità ci parla sempre più di un’altra forma di violenza, che trova terreno fertile in sede di separazione, quando l’uomo si macchia della “colpa” di non amare più. Ricatti, minacce, condizioni di mantenimento oltre i limiti dell’ammissibilità, utilizzo strumentale dei figli, fanno sì che la violenza si insinui negli spazi vitali dell’uomo fino a impedirgli il normale andamento di vita e la possibilità di qualsiasi aspettativa futura.
A tal proposito, con la recente sentenza n. 11870/2015, la Cassazione ha stabilito che se la moglie ha idonea capacità lavorativa, anche se durante il matrimonio era casalinga, può lavorare e non ha diritto all’assegno da parte dell’ex marito. Una conquista ed una speranza per ripristinare un equilibrio all’interno di una situazione che, sempre più spesso, viene strumentalizzata ai danni dell’uomo e a favore della donna. Una donna che è figlia delle storiche lotte a favore dell’emancipazione, della parità, dell’indipendenza ma che, in sede di separazione, sembra dimenticarselo.

La violenza sugli uomini è un problema sociale poco discusso anche perché sono poche le ricerche in Italia sull’argomento. Un sondaggio svolto dall’A.N.F.I. (Associazione Nazionale Familiaristi Italiani) in collaborazione con l’Università di Siena ha raccolto, dopo 3 anni di lavoro e di relativa analisi, i dati inerenti un’indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile da parte delle donne, da cui è emerso che gli uomini hanno subìto almeno un tipo di violenza da parte delle donne e questa si è esplicata secondo quattro forme: fisica, sessuale, psicologica ed economica. Le modalità con cui queste forme di violenza vengono messe in campo sono diverse rispetto a quelle maschili, ma non per questo meno dannose. L’uomo che subisce violenza presenta le medesime vulnerabilità e fragilità della donna, con l’aggravante che la mancata accensione dei riflettori su fatti simili lo mette nella condizione di dover sopportare anche la violenza del silenzio.

Il fenomeno merita sicuramente un approfondimento, perché una società civile che porta avanti campagne di prevenzione e di lotta alla violenza e alla disuguaglianza, non può chiudere gli occhi di fronte ad un fenomeno oggi dilagante (anche se dietro le quinte) mentendo a se stessa circa il fatto che non esistano violenze di serie A e violenze di serie B (cfr Il femminile in Criminologia. La donna vittima e carnefice).
La violenza non conosce genere, età, religione e ceto sociale. Esattamente come la tutela dei diritti e della dignità dell’uomo.

La violenza è violenza.

A seguire, un video diffuso in Gran Bretagna, che mostra una coppia mentre litiga e le differenti reazioni dei passanti a seconda che sia lei o lui la vittima del litigio.

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Criminologa ed Esperta al Tribunale di Sorveglianza di Messina, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Criminologia. Oggi prosegue i suoi studi in Psicologia, coniugando studio e lavoro. Studiosa del fenomeno criminoso e dei fenomeni carcerari, nella loro complessità, cura la rubrica di Criminologia di scirokko.it, occupandosi dell'analisi e della divulgazione delle fattispecie criminologiche.
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