Che vi siano più modi di fare le critiche è dominio della psicologia del senso comune. Molti infatti sono in grado di affermare che esistano critiche distruttive e costruttive, ma pochi forse conoscono il modo di fare una critica. Già, esiste; contrariamente a quanto possano pensare coloro che hanno uno stile “passivo” e che tollerano comportamenti, azioni, giudizi, fastidiosi, pesanti o offensivi. Questi ultimi hanno difficoltà ad esprimere le critiche poiché convinti di ferire l’altro; che il proprio disappunto sia trascurabile, di essersi meritati un trattamento ignobile perchè altrimenti si sentirebbero terribilmente in colpa.
Poi vi sono quelli che assumono uno stile aggressivo. E criticano tutto e tutti, in modo naturalmente distruttivo o manipolativo – che è ancor peggio – perchè la critica è fatta a scopo ricattatorio (“davvero non vuoi farlo? Sei davvero cattivo/a! Allora non mi vuoi davvero bene”). Questo passaggio è molto importante. Pensate quando si riveste il ruolo di genitori: criticare continuamente il figlio è il modo migliore per fargli sviluppare un bel disturbo depressivo, distruggere la sua autostima e creargli seri problemi relazionali.
Ma tornando al punto. Siamo tutti bravi a dire che bisogna fare critiche costruttive. Ma in cosa consistono esattamente? E come può una critica, che per definizione associeremmo a un’espressione spiacevole e fastidiosa – nessuno le ama – essere positiva?
La prima caratteristica che deve avere una buona critica è l’essere riferita ad un comportamento specifico. Non valgono dunque tutti quei giudizi globali sulla persona, di tipo generalizzato (“sei sempre tu! Non ne fai una giusta! Con te perdo solo tempo, sei un incapace”). Dal momento che l’obiettivo della critica è mettere l’altro in condizioni di riconoscere un comportamento inadeguato e cambiarlo, dobbiamo dare un riferimento preciso a cosa esattamente non va e soprattutto, dal momento che spesso si tratta di persone a cui teniamo, deve essere vantaggioso per lui o per lei modificarlo.
Bisogna dunque: 1. descrivere il comportamento (“quando mi critichi davanti ad altri”); 2. descrivere gli effetti del comportamento (“io mi sento a disagio”); 3. elencare i motivi (“perchè temo di apparire stupido/a e mi sento ridicolizzato/a”); 4. fornire una soluzione (“preferirei che ne parlassi direttamente con me”) ; 5. mostrarne i vantaggi (“mi sentirei meno a disagio e tu sembreresti meno aggressivo/a”).
Questa formula permette d’altro canto l’accoglimento della critica, poiché parlare delle proprie emozioni è sempre insindacabile e legittimo.
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