È in scena fino a domenica, al Teatro Vittorio Emanuele, “Amore”, l’ottava commedia di Spiro Scimone, la quarta con la regia di Francesco Sframeli, allestita dalla compagnia Scimone-Sframeli.
Il fruttuoso sodalizio fra i due attori risale al 1994, quando, nella prima opera “Nunzio”, in lingua messinese, portano sulle scene uno stile drammatico del tutto originale che si farà strada su palcoscenici prestigiosi di mezza Europa e che sfocerà in maniera eccellente nel cinema con il film “Due amici”, Leone d‘Oro come miglior opera prima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 2002.
In “Amore” due poli affettivi, il vecchietto e la vecchietta da una parte, il comandante e il pompiere dall’altra, ciascuno con la propria alcova in forma di lapide, rappresentano in parallelo forme e inquietudini dell’amore.
Ritornano toni, atmosfere e modi cui la compagnia ha abituato il pubblico: l’accento messinese che assurge a cantilena enigmatica, la ripetizione costante delle frasi che i personaggi si rimpallano l’un l’altro, in un gioco che è ricerca di senso, personaggi-fanciulli che vanno oltre se stessi per farsi corpo delle istanze umane più autentiche. E quale aspirazione più viscerale dell’amore? L’amore è qui soprattutto inteso come vicinanza, contatto fisico, abbandono ai sensi. L’intimità è protagonista, intimità che si manifesta a un livello primario, attraverso il cambio di pannoloni, nella coppia dei vecchietti; con l’offerta di spalmare all’altro la crema, nella coppia pompiere-comandante. La scena di Lino Fiorito accompagna bene il senso di spaesamento e surrealtà che connota i dialoghi, così come la recitazione distaccata, a tratti attonita, degli attori.
Oltre alle due lapidi in primo piano, sullo sfondo campeggiano dei lenzuoli, cupe sindoni, mentre il carrello del supermercato con a bordo il comandante, guidato dal pompiere, segna il perimetro del palco.
La passione della giovinezza, continuamente rievocata dalla vecchietta interpretata da Giulia Weber e da Gianluca Cesale nel ruolo del pompiere, parti attive nelle due coppie, è un rimpianto al quale non ci si rassegna, anche di fronte alla “paura di arrivare in fondo” degli altri due protagonisti.
Paura di amare che da sempre accompagna l’uomo, ma che più che mai sembra essere la cifra della nostra epoca. Una convinzione emerge infine: “l’intimità dobbiamo assolutamente difenderla”. “Riscaldarsi sotto le lenzuola, fino al silenzio”, l’imperativo finale. Questo amore che cerca la resurrezione oltre la morte quotidiana, che cerca il fuoco della sensualità oltre il gelo dell’abitudine, meritava forse un approfondimento maggiore?
Alla fine del breve spettacolo ci si chiede se, chissà, si poteva “arrivare fino in fondo” ad un tema così ambizioso.
Funziona la formula ormai consolidata del teatro Scimone-Sframeli, quella sospensione in una dimensione a mezz’aria tra la schiettezza infantile e gli interrogativi esistenziali che sgorgano in tutta la loro autenticità solo ai margini dell’umanità. Azzardiamo che personaggi più arrotondati e qualche ulteriore sviluppo del racconto avrebbero giovato al tema, aiutando a maturare quella riflessione e quella particolare sensibilità che, la compagnia messinese, con la sua originalissima cifra stilistica, ha il dono di suscitare nello spettatore.
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