Cesare Lombroso e il Museo degli orrori | scirokko.it

Medico, antropologo e giurista italiano, Marco Ezechia Lombroso (detto Cesare) è riconosciuto unanimemente il fondatore della Scuola di Antropologia Criminale, che impose la Criminologia come scienza e come nuovo filone culturale. Il medico veronese indirizzò i suoi studi sulla persona del delinquente, concentrandosi sulle caratteristiche che riteneva responsabili del comportamento criminoso; a lui si deve il merito di aver guardato al crimine in un’ottica completamente nuova rispetto al passato, ponendo al centro dell’attenzione non più l’evento in sé, scevro da ogni condizionamento, ma la personalità del criminale con tutte le problematiche ad essa connesse. Questo ha permesso alla criminologia e al diritto penale di compiere grandi passi in avanti, che hanno condotto – attraverso studi e ricerche –  all’introduzione del cosiddetto “sistema del doppio binario”: accanto alle pene tradizionali (ancorate alla colpevolezza del soggetto e commisurate alla gravità del reato commesso) sono disposte anche misure di sicurezza di durata indeterminata (per i soggetti ritenuti socialmente pericolosi). Il delinquente ha, perciò, un trattamento individualizzato in cui si tiene conto della sua soggettività oltre che del tipo di reato che ha commesso.

Detto ciò, e riconoscendo a Lombroso questo grande merito, bisogna dire che oggi le sue tesi sono considerate non solo abbondantemente superate e prive di fondamento scientifico, ma anche portatrici sane di forme di discriminazione e di pregiudizio.
Uno dei capisaldi del pensiero lombrosiano è senza dubbio la teoria del delinquente nato, secondo la quale chi arriva a commettere un reato possiederebbe disposizioni congenite (presenti cioè fin dalla nascita) che lo condurrebbero inesorabilmente alla delinquenza. Nel rintracciare queste disposizioni congenite, Lombroso chiama in causa la fisiognomica, una pseudo-scienza che avrebbe cercato di studiare il temperamento di un soggetto dai tratti somatici e dalle espressioni del suo volto; così, una fronte sfuggente, la poca capacità cranica, il mento pronunciato, la scarsezza dei peli, ma anche l’accidia, la precocità ai piaceri del vino, la superstizione, financo l’epilessia e altre patologie cerebrali, erano chiari segni di una “patologica diversità” che avrebbe portato il soggetto, inesorabilmente, a delinquere. Senza possibilità di scelta e, dunque, privato del suo libero arbitrio, Cesare Lombroso affermava che delinquenti si nasce.
Il secondo capisaldo del suo pensiero è la teoria dell’atavismo, che considerava il reato come la regressione – e infine la fissazione – ad uno stato primordiale dell’evoluzione della specie, in cui il soggetto  arrivava a delinquere per scaricare i propri istinti aggressivi e primordiali, come se fosse un animale ipoevoluto. Il massimo esponente della specie evoluta era, secondo lui, l’uomo bianco; quindi, tutto ciò che non era uomo e non era “bianco”, era portatore di una patologica diversità che avrebbe condannato il soggetto a condotte antisociali e criminali, per il resto della sua vita.

Ci rendiamo tutti conto di come tali affermazioni, negando all’uomo la possibilità di scelta, portino a due pericolose conseguenze: la prima consiste nella deresponsabilizzazione dell’autore del reato in merito alla sua condotta, in quanto “costretto” dalla nascita a seguire un comportamento deviante; e la seconda, invece, nel catalogare la specie umana in due categorie: uomini retti e rispettosi delle leggi e uomini reprobi che delinquono perché la loro natura è malata. Non si tiene alcun conto del fatto che, a contribuire alla nascita del comportamento criminoso, sono un combinato disposto di elementi, che vanno ricercati nelle condizioni ambientali, nei fattori psicologici, in quelli biologici, nella cultura e nell’indissolubile intreccio tra genetica ed ambiente.
In altre parole, secondo Lombroso, l’aspetto fisico caratterizzato da anomalie congenite – alla stregua di una malattia ereditaria – condizionerebbe le azioni del soggetto, condannandolo a comportamenti antisociali a sua insaputa. E questo avverrebbe a causa del determinismo biologico: la natura determina – attraverso una dannazione biologica – la delinquenza per natura che, per tale ragione, non è né modificabile né eliminabile. Unica soluzione: la pena di morte.

Oggi, in Italia, esistono i frutti delle esasperate teorie lombrosiane, che sono visibili nel Palazzo degli Istituti Anatomici dell’Università di Torino dove, nel 2009, ha sede il Museo di Antropologia Criminale voluto e fondato dallo stesso Lombroso nel 1876. Si contano oltre 4000 pezzi, tra quelli raccolti dal criminologo e quelli inviati nel tempo dai suoi studenti e dai suoi ammiratori, classificati per via razziale: crani, teste e cervelli trafugati illegalmente e trapanati, per poi essere collocati in bella vista all’interno del Museo, con etichette riportanti diciture. I meridionali hanno la seguente: “razza inferiore”. Il Museo Cesare Lombroso ha subìto una condanna da parte della magistratura, che il prossimo 6 aprile si pronuncerà con la sentenza di appello per decidere della liberazione di uno dei crani (quello del calabrese Villella) definito il totem dell’antropologia criminale.

Dopo aver commesso un vero e proprio genocidio, esaltato all’interno di questo Museo, lo stesso Lombroso consegnò il suo corpo alla scienza: dallo studio del suo cranio venne notata la famosa “fossetta occipitale mediana”, che il padre della criminologia utilizzò, nei lunghi anni di studio, per dimostrare l’esistenza di quella patologica diversità che portava alla delinquenza. Pertanto, lo stesso Lombroso sarebbe vittima delle sue teorie: lui stesso criminale per nascita e destinatario della delinquenza eterna.

0 Commenti

Scrivi un Commento

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com