#dirittoerovescio: offese e diffamazioni sui social network | scirokko.it

Che rilevanza penale ha la condotta di chi pubblica offese su Facebook?

La risposta naturalmente si estende ad ogni forma di comunicazione social, ivi comprese le chat ed i sistemi di messaggistica istantanea. Il reato più contestato nella prassi è senza dubbio quello di diffamazione aggravata dal mezzo della pubblicità, contemplato dall’art. 595 c.p. che prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (ebbene sì). Viceversa, se l’offesa è inviata a mezzo mail o chat a un unico destinatario, il reato configurabile è quello di ingiuria, punito meno severamente e di competenza del Giudice di Pace. Secondo i più recenti arresti giurisprudenziali, il reato di diffamazione aggravata si configura anche se il destinatario dell’offesa non sia espressamente indicato col suo nome e cognome, essendo sufficiente che sia identificabile ovvero individuabile anche da una cerchia ristretta di “amici” o appartenenti a una community.

Con sentenza num. 24431/15 la Cassazione ha ritenuto che l’attività di postare i messaggi diffamatori sulla bacheca Facebook di un utente integri di per sè la sussistenza dell’aggravante. Questa impostazione fa leva su un concetto di diffusione del post ad un numero potenzialmente ampio di soggetti.

In precedenza, la sussistenza dell’aggravante del mezzo di pubblicità è stata collegata ad una modalità di diffusione che consentisse realmente di raggiungere un numero alto e imprecisato di persone; dunque la diffusione del post poteva ritenersi aggravata solo se indirizzata di fatto ad un numero elevato di persone; diversamente, qualora il messaggio fosse stato visionato solo da pochi soggetti, ferma restando la sussistenza della diffamazione per cui ne bastano due, non si sarebbe configurata la circostanza aggravante e la competenza si radicherebbe davanti al Giudice di Pace con pene assai più miti.

Non rivolgetevi all’avvocato dicendo che un attacco hacker ha effettuato un accesso non autorizzato al vostro PC; occorrerà la prova certa e rigorosa di non aver mai scritto quel contenuto per potere escludere la responsabilità penale. Sotto altro profilo, con sentenza n. 12203 del 23/03/2015 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità degli arresti domiciliari per un uomo accusato di avere diffuso fotografie intime della parte offesa sui social network o a mezzo messaggeria istantanea. Si può configurare infatti il reato di stalking se la condotta è idonea a determinare nella vittima un grave stato d’ansia e di paura che la costringe a modificare le proprie abitudini.

Infine, attenzione agli “ex”. L’ex fidanzato che divulga su Facebook le foto della sua ex, in ragione della «lesione della tranquillità e dell’immagine sociale subita dall’interessata» potrebbe incappare nel reato di trattamento illecito dei dati personali, previsto dall’art. 167 d.lgs. 196/03 (cd. legge privacy).

Avv. Andrea Florio

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