L’omicidio del povero Emmanuel, 36 enne nigeriano richiedente asilo, pestato a morte da un uomo di anni 39, è un fatto di inaudita gravità, indegno di un Paese civile. Ci si attende una risposta dalla Comunità sociale in termini di ferma condanna del fatto e di sostegno ai congiunti della vittima.
La risposta dell’ordinamento giuridico sarà, naturalmente, netta ed inesorabile.
Il colpevole, già in stato di custodia cautelare in carcere, risponde del delitto di omicidio, punito con la reclusione non inferiore ad anni 21. Appaiono configurabili, in astratto, alcune circostanze aggravanti che comportano l’applicazione della pena dell’ergastolo e cioè quelle richiamate dall’art. 577, n. 4) c.p. (l’aver agito per motivi abietti e futili, l’avere agito con crudeltà verso le persone). Deve comunque ritenersi applicabile alla fattispecie la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, introdotta nell’ordinamento dall’art. 3 D.L. n. 122 del 1993, conv. in legge n. 205 del 1993.
La circostanza in parola si configura tutte le volte in cui l’azione delittuosa si manifesti come “consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità, non essendo comunque necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all’esterno – e, quindi, a suscitare – il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori” (Corte di cassazione, sezione V, sentenza 18 giugno 2015 n. 25756).
Sotto questo profilo del tutto priva di rilievo giuridico si manifesta la questione, tutta social – giornalistica, in ordine alla corretta qualifica soggettiva da attribuire al colpevole (ultrà, fascista, razzista, ecc). E’ chiaro infatti che la circostanza aggravante della finalità di discriminazione razziale “è configurabile per il solo fatto dell’impiego di modalità di commissione del reato consapevolmente fondate sul disprezzo razziale, restando irrilevanti le ragioni, che possono essere anche di tutt’altra natura, alla base della condotta” (Corte di cassazione, sezione V, sentenza 15 luglio 2013 n. 30525).
Avv. Andrea Florio
0 Commenti