Pochi giorni fa sul Blog “I trentenni” – una delle storie raccontate da Scirokko – è stato pubblicato un video: un’intervista doppia, girata da Luca Catasta. Divertente confronto fra Silvia Rossi vs. una 20enne e due uomini di 30 e 20 anni; esperimento creativo, ironico e autoironico, condiviso in un lampo da migliaia di utenti (video), forse per l’evidenza che uomini e donne non ‘crescono’ allo stesso modo.
Contemporaneamente, al cinema ha esordito con discreto successo il film di animazione “Il Piccolo Principe” nelle sue amatissime e celeberrime metafore dell’amicizia, del puer e del viaggio interiore; ma soprattutto con le sue immagini di una età adulta grigia e informe, assorbita nell’ossessione del guadagno e della produttività (vedi “L’uomo d’affari”), ansiosa nella pianificazione del futuro e della vita dei propri figli, spaventata dalla creatività visionaria dei bambini (vedi “Il vanitoso”).
Queste due rappresentazioni recenti possono essere prese come uno stimolo per porsi alcune domande. Innanzi tutto: cosa significa essere adulti? L’immagine che ne abbiamo è realistica o fantasticata? Come si esprime la Psicologia sull’età adulta?
Aprendo un Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica si legge:
“L’età adulta […] ottiene il mantenimento di una stabilità solo a prezzo di un intenso lavoro psicologico sugli affetti del mondo interno e sui comportamenti del mondo esterno”. Fondamentalmente, ha un obiettivo di sviluppo principale: l’adattamento a compiti evolutivi, conflitti e problemi di natura diversa rispetto all’adolescenza.
Per gli psicoanalisti uno dei conflitti più comuni dell’età adulta è “la paura della perdita dell’Io” in situazioni di abbandono come la pienezza di un atto sessuale o il coinvolgimento intimo di un’amicizia. La maturità si raggiunge dunque nella meta-pulsione di scambio ovvero nel superamento del bisogno di scarica e di piacere individuale, in favore di una genitalità intesa come capacità di reciprocità nell’orgasmo (Erickson).
Il secondo aspetto che caratterizza l’età adulta è la genitorialità, intesa sia nel senso di “prendersi cura” – dei figli, ma anche dei propri genitori che invecchiano, del partner, degli amici, di un progetto – sia nel senso specifico del generare – i propri figli, ma anche un libro, un opera d’arte, un servizio sociale – in risposta ai bisogni di creatività e produttività dell’individuo.
Il terzo riguarda il lavoro, perno della vita adulta perchè permette l’identificazione del Sé e l’assunzione di un ruolo sociale e di un’identità professionale, a patto che la produttività non preoccupi l’individuo fino a fargli smarrire il diritto e la capacità di vivere la tenerezza e la sensualità dell’amore.
Certo è un Manuale del 2000, forse necessiterebbe di un aggiornamento… Ma a parere di chi scrive, quello che significa essere adulti non cambia in base al contesto: per diventarlo bisogna aver chiaro cosa si può chiedere e offrire al mondo.
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