Il delitto di Giarre e la nascita dell’Arcigay | scirokko.it

È il 31 Ottobre 1980 quando un pastore trova, in un agrumeto di Giarre, i corpi di due giovani, freddati da tre colpi di 7.65. I due sono Giorgio Giammona, 25 anni, e Antonino Galatola, 15 anni, tristemente noti alla comunità giarrese per la loro relazione omosessuale, stigmatizzata da un paese pieno di pregiudizi. La prima pista, quella del suicidio, avvalorata dal ritrovamento di una lettera di addio in cui i due si dicono stanchi delle dicerie e delle vessazioni, lascia il tempo che trova quando, a qualche metro dal luogo dell’ormai improbabile suicidio, viene ritrovata l’arma del delitto, sotterrata e con la sicura abbassata. Passa così un solo giorno perché l’assassino venga fuori; a confessare è nientemeno che il tredicenne Francesco Messina, nipote di una delle due vittime, la cui confessione appare da subito confusa e ricca di contraddizioni. In un primo momento il giovane Franco racconta di essere stato costretto dalle stesse vittime a compiere l’atto:

«Lo zio e Giorgio mi hanno portato in campagna e mi hanno detto: o ci uccidi, o noi uccidiamo te. Mi hanno messo una pistola in mano e si sono sdraiati sull’erba, come per dormire. Mi hanno dato un orologio, come ricompensa. Ho dovuto sparare alla testa, come mi avevano detto loro»

Tuttavia, il giorno seguente alla confessione, Franco – avvicinato da un giornalista – cambierà le carte in tavola, tornando poi però sui suoi passi in un secondo momento, sostenendo di essere stato spinto alla confessione dalle stesse forze dell’ordine:

«Non è vero, non li ho uccisi io. Ai carabinieri ho detto così perché mi avevano dato schiaffi, mi sono fatto pure la pipì addosso e poi loro dicevano che se non confessavo arrestavano il nonno Francesco»

Scoppia così il caso mediatico. Le più grandi testate italiane si riversano nel paese, quello stesso paese che aveva tormentato e vilipeso i due giovani, e che adesso si divideva in due: da un lato quelli che, infastiditi dall’attenzione mediatica e dall’essere associati ad avvenimenti legati alla sfera omosessuale, si chiudono a riccio e desiderano solo si metta un punto alla questione; dall’altro coloro ai quali la versione ufficiale puzza di bruciato, e chiedono più chiarezza: tra questi l’allora sindaco Nello Cantarella che si dichiarerà molto perplesso.

«Io non credo assolutamente che un bambino di 12 anni abbia potuto sparare a freddo, uccidere due ragazzi senza avere nessuna reazione visibile per quindici lunghissimi giorni. Questo farebbe saltare tutte le regole della psicologia. E io, se mi permettete, sono un medico e capisco di queste cose»

I numerosi dubbi sulla questione, tuttavia, sono irrilevanti agli occhi del pretore che, sull’onda di quelle che egli stesso definì prove incontrovertibili, ovvero la lettera trovata accanto ai cadaveri e la confessione del bambino, pone fine alla questione. Ad uccidere i due è stato il giovane Francesco Messina, non perseguibile dalla legge perché minorenne. Il mondo omosessuale, scosso dall’indignazione, fonderà così la prima sede dell’Arcigay a Palermo, seguita poi a ruota dal resto d’Italia.

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