Si alza il sipario del Vittorio Emanuele sul “Jucature” di Pau Mirò | Scirokko.it

Quattro uomini si incontrano in un’anonima stanza, che si intuisce essere a Napoli, per giocare a carte.  All’apparenza diversi tra loro, man mano che la storia si dipana si nota che ciò che li accomuna non è tanto il gioco, ma la stanza stessa, vista come una zattera di salvataggio in cui ciascuno trova riparo dalle frustrazioni e dai danni personali e cerca il conforto e il calore di una famiglia . Questa partita a quattro con la vita (inevitabile il riferimento a “Finale di partita“ di Beckett e a “La stanza” di Pinter), si rivela sin dall’inizio dello spettacolo gradevole  sia per l’interpretazione degli attori, sia per la ricchezza dei dialoghi, pieni di giochi di parole e di battute pungenti. Ma è soprattutto il contrasto tra la vita dei quattro, vuota e incolore, e l’uso del variopinto dialetto napoletano, a catturare l’attenzione dello spettatore.

La scenografia, apparentemente semplice,  si rivela in realtà realistica e accurata, piena di oggetti (la moka e il brandy, ad esempio) che evidenziano la  familiarità e l’intimità del luogo, considerato da ogni personaggio come la sua vera casa. Attorno al tavolo ruotano le vite sconfitte dei vari personaggi, il vecchio professore universitario cacciato dall’insegnamento, il barbiere che non ha più il lavoro e non osa dirlo alla moglie, l’attore smemorato che non è mai stato ingaggiato, il becchino irresistibilmente balbuziente innamorato della prostituta con cui si accompagna. Si ride spesso  in questo spettacolo, nonostante la drammaticità del testo, soprattutto grazie alle colorite espressioni che solo il dialetto napoletano sa regalare, ma è un riso amaro. Anche se a volte si corre il rischio di soffermarsi solo sulla superficialità della battuta cogliendo solo l’ilarità e la pseudo stupidità dei personaggi, il testo contiene profonde e tristi verità e mostra uno spaccato di esistenze che sprecano il loro tempo in parole e concetti mai coerenti e senza un vero obiettivo,  che culminano alla fine con la  proposta che è un patetico guizzo di vita e follia, una rapina in banca che possa risollevare le loro sorti.

Nello spettacolo Enrico Janniello si fa carico di una triplice fatica. L’artista casertano è infatti il traduttore del testo originale di Pau Mirò, ne è l’abile regista e veste i panni del becchino. Risultano  evidenti per tutta la durata della pièce grandi affinità e  sinergie  tra i quattro attori che contribuiscono alla riuscita dello spettacolo.

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