Annacamento. Lento.

Messina. macerie su macerie. Goethe la visitò all’indomani di una catastrofe, quella del 1783, proprio mentre cercava di risollevarsi.  A prima vista colse un carattere dei suoi abitanti e scrisse: “Una simile vita di baracca, di capanna e persino di tenda influisce decisamente sul carattere della popolazione. L’orrore riportato dal disastro immane e la paura che possa ripetersi li spingono a godere con spensieratezza e allegria i piaceri del momento”.

Questa condizione dai tempi di Goethe in poi, si è reiterata più volte: due terremoti, diversi feroci bombardamenti, più quella piaga sociale che prende il nome di emigrazione. Così si è protratta fino a radicarsi la condizione di precaria gioia che deriva dal vivere in una baracca accessoriata di antenna satellitare in bella vista, con l’incombenza dell’ennesima strage che può arrivare da un momento all’altro. Da qualche parte, nel cervello di noi messinesi si è formato il callo del disastro. Nel sisma del 1908 , terremoto a cui seguì un maremoto ancora più devastante, la città si risollevò ancora, ma con ancora meno voglia di sé. Certamente qualcosa è cambiato in noi dopo quella tragedia. Che non è stata nemmeno l’ultima. Pietra miliare per la memoria cittadina sono state le bombe della seconda guerra mondiale (ma questa è un’altra storia) e insieme alle bombe sempre meno convinzione e più stanchezza. Solo tanto disincanto.

La storia di Messina però non è solo disastro e distruzione, basta tornare al 1955 anno in cui la città ospitò i sei ministri della CECA. Fu il 3 Giugno che venne sancita la “Risoluzione di Messina” nella quale; Francia, Rep. Fed. Tedesca, i paesi del Benelux e ovviamente l’Italia gettarono le basi per degli accordi che diedero la progenie all’Unione Europea. Di fatti il cartello “Benvenuti a Messina città d’Europa” sta a significare proprio questo. Siamo europei. Facciamo parte del continente. Badate bene, non quello africano.

Certo diciamo che in Europa dal 3 Giugno di quell’anno qualcosa è cambiato. Si sono costruite strade, treni veloci, ospedali, industrie, si è lucrato sul turismo. Sono stati creati laghi dove gli abitanti non sapevano nemmeno cosa significasse la parola acqua. E noi? Noi per non sentirci poi così lontani dalla nostra sorella Africa siamo rimasti fermi. Scossi di tanto in tanto da un movimento tellurico o da una promozione del Messina Calcio in serie A, ma una volta passato l’evento ci siamo nuovamente “ri-annacati” dove eravamo. Basti pensare agli svincoli di Giostra, anzi lo svincolo, singolare maschile. Si perché dopo 23 anni di lavori e drenaggio di milioni di soldi pubblici, ai tempi c’era ancora la lira e in tv trasmettevano Bim Bum Bam, vi è stata una cerimonia inaugurale nella quale l’Amministratore Unico dell’Anas, Pietro Ciucci, ha affermato: “Oggi abbiamo raggiunto un primo e fondamentale traguardo: inaugurando un’opera molto articolata la cui completa funzionalità e operatività sarà raggiunta quando saranno conclusi i lavori di risanamento (…)”. Quindi dopo 23 anni di lavori lo svicolo, singolare maschile, non è stato ultimato del tutto?? E continua: “Il costo complessivo dell’intervento ha richiesto un investimento per circa 104milioni di euro, interamente finanziato dal Comune di Messina”.

Nel frattempo in Giappone sei giorni dopo lo tsunami, del quale tutti abbiamo contezza con le immagini ancora impresse nelle nostre menti, la Nexco “gemella” dell’Anas, lancia questo comunicato: “Chiediamo scusa se non tutte le aree di servizio sono state riattivate”. Il Direttore della Nexco si riferisce in particolare ai 57km di autostrada rimasta danneggiata su un totale di 870km. Non bisogna essere un genio della matematica per capire che in sei giorni la società ha ripristinato 813km di strada. E noi nel frattempo stavamo organizzando il banchetto inaugurale, con annesso taglio del nastro, spumante, pasticcini e servizio fotografico.

So che molti di voi possono pensare che il paragone con i giapponesi non è equilibrato. In effetti a primo acchito potrei darvi ragione. Loro hanno i grattaceli antisismici e noi le baracche, loro le metropolitane e noi “il due” (camminare sulle proprie gambe, ndr), loro producono articoli supertecnologici e noi semplicemente li compriamo; ma in realtà sono di più le cose che ci accomunano da quelle che ci distanziano. La sismicità delle nostre terre, i vulcani che la compongono, i mari che le accarezzano. Perché noi dobbiamo adagiarci o annacarci che dir si voglia e pensare che nulla può cambiare?

Parafrasando l’ex Presidente della Repubblica Scalfaro, mi sento di dire: “IO NON CI STO”. E sono certo che nemmeno voi volete starci. Non inteso che dobbiamo tutti emigrare, ma nel senso che dobbiamo essere noi a cambiare le cose. Siamo il timone che indirizza la barca oltre le potenti correnti dello Stretto e la  patente è nel nostro DNA. Un popolo forgiato dal vento caldo dello Scirocco non si arrende. Continua a camminare, magari coprendosi il viso di tanto in tanto, ma tenendo sempre la testa alta. Vivere con spensieratezza e allegria, non significa necessariamente fottersene,  voce del verbo “futtitinni”, di tutto quello che ci accade intorno. Avere la contezza di quello che viene fatto e pretendere che le cose vengano fatte, possibilmente non in tempi biblici, prima ancora di essere un diritto è un dovere. Un nostro dovere.

Adriano Oteri

3 Commenti
  1. Avatar
    stella cinella

    Bravo Adriano,sei proprio “una bella penna” così diceva “zio Raffaele”, il giornalista,di quelli che con eleganza e precisione tratteggiavano ” il pezzo”.

    02/12/2014 at 12:05
  2. Avatar
    Jerome

    Davvero un bellissimo articolo. Ironia sottile e denuncia feroce.

    02/12/2014 at 19:08
  3. Avatar
    eliana

    Bravo Adry!hai ragione sotto tutti i punti di vista!

    02/12/2014 at 23:41

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