C’era una volta il Serial Killer…

Fino agli inizi degli anni Ottanta, un soggetto che uccideva più vittime veniva genericamente definito “assassino multiplo”. Fu merito dell’FBI l’analisi e la sistematizzazione di alcuni casi, che portarono all’introduzione della definizione di “Serial killer” (omicida seriale) e alla classificazione di tre categorie che, per quanto possano apparire simili, differiscono per variabili importanti.

  • Il Mass murderer (assassino di massa) uccide quattro o più persone nello stesso luogo e in un unico evento e, solitamente, le vittime non sono conosciute ma scelte casualmente.
  • Lo Spree killer (assassino compulsivo) uccide due o più persone in luoghi diversi e in un arco temporale molto breve e, anche in questo caso, le vittime non sono persone di sua conoscenza; questi delitti hanno, solitamente, un’unica causa scatenante e per questo motivo sono in qualche modo concatenati tra loro.
  • Il Serial killer (assassino seriale) uccide tre o più persone in luoghi diversi e all’interno di un arco temporale relativamente lungo, intervallato da un periodo di “raffreddamento” – definito intervallo emotivo – a seguito del quale l’assassino può uccidere persone a caso o scelte accuratamente.

Ma soffermiamoci sul Serial killer e andiamo a rispondere ad una domanda che viene spontaneo porsi: perché ci sono individui che diventano assassini seriali?
Al di là dello spazio che questa figura ha ricoperto nella letteratura e nella cinematografia – che hanno romanzato e banalizzato questa tipologia di assassino – la letteratura criminologica in merito all’argomento è vastissima e trattarla in questa sede, in modo esauriente, sarebbe impossibile.
Gli autori che si sono occupati dell’omicidio seriale sono tutti concordi nello stabilire la presenza di esperienze traumatiche nell’infanzia e nell’adolescenza di queste persone, il che non significa però che tutti i soggetti traumatizzati nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza diventano assassini seriali. Questi soggetti sono il prodotto del nucleo di provenienza, che è quasi sempre una famiglia multiproblematica, i cui elementi di criticità si sommano alla personalità individuale e ad eventuali caratteristiche fisiologiche altrettanto problematiche.
Una spiegazione unica per tutti gli assassini seriali non esiste, perché innumerevoli sono le loro caratteristiche e le loro motivazioni. In ogni caso, è comune l’operato chiaramente intenzionato all’uccisione della vittima (anche se non dovessero riuscirci) e l’elemento centrale del loro modus operandi è proprio la ripetitività. L’intervallo che separa le azioni omicidiarie può variare da qualche ora a interi anni e le motivazioni che stanno alla base di questi delitti sono varie e vanno ricercate nell’intreccio di tre fattori: quello socio-ambientale, quello individuale e quello relazionale.

Che bambini erano i Serial killer?
Gli studiosi hanno rintracciato una serie di “segni premonitori” del comportamento seriale, che si rintracciano già nell’infanzia. Questi soggetti, infatti, sono stati bambini introversi, timidi, incapaci di instaurare relazioni sociali, con comportamenti irregolari caratterizzati soprattutto da un bisogno immotivato e cronico di mentire (utilizzato ai fini manipolativi) e una ipocondria finalizzata ad attirare l’attenzione su di sé e a deresponsabilizzarsi circa alcune mancanze (sia a scuola che a casa). Questi bambini hanno avuto un problema di autocontrollo e, di conseguenza, un problema con le autorità, dovuto all’incapacità di tollerare le restrizioni e le frustrazioni, che si è tradotto in fenomeni di bullismo o in comportamenti antisociali. L’attività sessuale è stata precoce e bizzarra e si è manifestata attraverso la masturbazione o l’abbondante utilizzo di pornografia. Spesso ossessionati da fantasie distruttive, un posto importante nella biografia di numerosi Serial killer è stata la piromania: l’ossessione per il fuoco, che in alcuni casi è sfociata in incendi dolosi, è un modo per scaricare le tensioni sessuali. Stessa attrattiva si registra nei confronti del sangue e della morte che, invece di essere vissuti con repulsione, sono motivo di fascino. Altrettanto frequente e da non sottovalutare sono i giochi violenti nei confronti degli animali: Ascione (2000) ha rilevato statisticamente che le violenze sulle persone sono precedute da casi di violenza su animali, che vengono torturati o mutilati. Da cornice a questa situazione di forti anomalie c’è un comportamento autodistruttivo, che si concretizza nell’automutilazione, nel precoce abuso di stupefacenti o di alcol e nella cleptomania.

La caratteristica comune di questi assassini è una vita immaginifica molto ricca, che va a compensare la carenza di stimoli esterni. Ed è attraverso l’omicidio che il soggetto vuole trasferire quelle fantasie nel mondo reale, procurandosi piacere e soddisfazione. Ma trascorso un certo periodo di tempo (il c.d. “periodo di raffreddamento”), questa gratificazione va scemando, per cui  il soggetto ha bisogno di rimetterla in campo per vivere di nuova gratificazione: ecco che si innesca un circolo di violenza, in cui i periodi di raffreddamento diventano sempre più brevi e gli omicidi sempre più frequenti e brutali. Il Serial Killer – a meno che non commetta qualche eclatante errore – difficilmente viene identificato per cui, ad ogni omicidio, si intensifica la sicurezza che ha in se stesso, che si traduce nella ricerca di nuovi stimoli: questa può essere definita Sindrome di assuefazione omicidiaria seriale.

Nelle prossime uscite analizzeremo casi singoli di Serial killer, italiani e stranieri, donne e uomini, con l’obiettivo di comprendere – attraverso l’analisi del loro vissuto – cosa spinge un individuo a rendersi autore di simili brutalità. Un’unica sola spiegazione non esiste, ma un tratto comune a tutti sì: quando il sistema di un soggetto – già di per sé debole e precario – va in frantumi, il senso di realtà viene meno e l’unico punto di riferimento esistente diventa il proprio mondo interiore turbolento, inquieto e problematico.

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Criminologa ed Esperta al Tribunale di Sorveglianza di Messina, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Criminologia. Oggi prosegue i suoi studi in Psicologia, coniugando studio e lavoro. Studiosa del fenomeno criminoso e dei fenomeni carcerari, nella loro complessità, cura la rubrica di Criminologia di scirokko.it, occupandosi dell'analisi e della divulgazione delle fattispecie criminologiche.
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