Cristina D’Arrigo racconta una Messina piena di arte e cultura | scirokko.it

copertina libroNell’introduzione del suo libro, Antonio Saitta. Ospe: la scocca della cultura, Cristina D’arrigo scrive: “Poche persone conoscono, soprattutto le giovani generazioni, la Messina degli anni cinquanta-sessanta. Pochissimi sanno che la nostra città fu al centro di un grosso movimento culturale”.

Questo fervore culturale si doveva, in gran parte, all’impegno di Antonio Saitta (1903-1987), poeta e libraio a cui nel 2013 è stato intitolato il plesso scolastico di Santa Margherita. Entrata in contatto con il prof. Nazareno Saitta, figlio di Antonio, Cristina D’Arrigo non si è lasciata sfuggire l’occasione di raccontare la storia di un uomo di piccola statura, con i capelli bianchi e lo spirito di un fanciullo. Un uomo che, da garzone di libreria, divenne gestore dell’OSPE – molto più che una semplice libreria; un vero punto di ritrovo per intellettuali messinesi e non -, giornalista pubblicista, gallerista d’arte e promotore di iniziative volte a diffondere la poesia e la pittura, con un occhio attento anche a scultura e fotografia.

Cristina, partiamo dagli incontri casuali, a cui dedichi il libro.

“Il libro è dedicato agli incontri casuali perché l’incontro con il prof. Nazareno Saitta è stato un incontro casuale. In occasione di una mostra ho sentito parlare per la prima volta dell’OSPE, poi ho conosciuto appunto il prof. Nazareno Saitta, che per venticinque anni ha vissuto l’attività dell’OSPE e i cui ricordi mi hanno guidata nel percorso di scrittura. Inoltre l’OSPE non riuniva soltanto personalità illustri residenti a Messina; chiunque fosse in città, dai docenti pendolari a intellettuali come Pavese, Valentino Bompiani o Carlo Bo, sapeva che a Messina esisteva l’OSPE e vi si recava, quindi anche tra di loro regnava questa casualità dell’incontro, ecco perché l’ho voluto dedicare agli incontri casuali”.

Cosa ti ha fatto decidere di raccontare la storia di Antonio Saitta e dell’OSPE?

Non conoscevo la storia dell’OSPE, non ne avevo mai sentito parlare, e sono rimasta colpita dalle manifestazioni culturali di quel periodo. Parliamo, tra le altre cose, di quattrocento mostre organizzate tra gli anni cinquanta e ottanta. Tanto colpita che non potevo non raccontare questa storia”.

Quali sono state le maggiori difficoltà?

Per realizzare questo libro ho impiegato due anni di lavoro nell’archivio privato della famiglia Saitta dove il figlio di Antonio, Nazareno appunto, custodisce tutto il patrimonio dell’OSPE. Mi sono trovata davanti una quantità enorme di foto, disegni, lettere, testimonianze varie delle riunioni e degli eventi, e il mio timore, non potendo per ovvi motivi riportare nel libro tutto il contenuto dei faldoni, era non scegliere bene cosa inserire”.

Leggendo, si ha la sensazione di scoprire qualcosa di bello ma, forse, anche di irripetibile. Sei d’accordo?

Pensare a un Antonio Saitta nel 2017 mi viene difficile. Oggi ci sono delle librerie a Messina che effettivamente si danno da fare, che portano autori importanti, ed è un bene che lo facciano, così come è un bene che coinvolgano le scuole, perché è da lì che si parte, ma la differenza è che all’OSPE non si portavano autori “esterni” che presentavano il proprio romanzo appena uscito; era un gruppo che si riuniva costantemente, ogni sera, per chi era a Messina la riunione quotidiana all’OSPE era un appuntamento fisso, e si studiavano insieme delle attività culturali per la città. Ti faccio un esempio: Quasimodo, ricevuto il Nobel per la letteratura, è venuto a Messina, è andato all’OSPE, lì gli hanno organizzato una cena e lui ha scritto una poesia, intitolata Dalla natura deforme, in uno dei loro papelli. È difficile pensare a qualcosa del genere oggi”.

Torniamo al punto di partenza: all’archivio; so che il prof. Saitta vorrebbe metterlo a disposizione della comunità…

Come dicevo il prof. Saitta conserva la documentazione di trent’anni di attività. Parliamo di immagini bellissime, ogni foglio di un annale è un pezzo unico, ogni artista che passava dal Fondaco, la galleria d’arte che stava nel retrobottega della libreria, lasciava una dimostrazione estemporanea della propria creatività; e parliamo anche di lettere di personalità come Guttuso, che non riuscendo a essere presente inviava una lettera da leggere a tutti. Il professore vorrebbe donare questo patrimonio alla città, e io sono convinta che dovrebbe essere esposto in maniera permanente per richiamare l’attenzione su un periodo che per Messina è stato importante, la conoscenza di ciò che accadeva non era ancorata a Messina o a Reggio, ma oltrepassava i confini nazionali, basti pensare alla mostra che c’è stata su Antonello da Messina a Palazzo Zanca e se tu vedi quelle foto non riconosci per niente Palazzo Zanca, era venuto lo scenografo della Scala di Milano, i dipinti provenivano da Sibiu; Messina era veramente la porta della Sicilia, e se potessimo tornare a essere simbolicamente quella porta della Sicilia sarebbe il massimo”.

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