Dario Fo: il ritratto di Maurizio Marchetti | scirokko.it

Raggiungo al telefono Maurizio Marchetti, lui è a Roma,  influenzato, comunque non si risparmia dal fare due chiacchiere con me, soprattutto quando gli chiedo di tracciare un suo personale ricordo dell’Immenso FO, come più volte, lui stesso mi ripete. “Immenso”, così comincia la nostra conversazione che come in una macchina del tempo, va e viene attraverso i ricordi dello stesso Marchetti e come in una vignetta si materializzano pensieri e parole di Dario Fo.

marchetti-maurizio-6La prima volta che ho visto “Mistero Buffo” avevo 18 anni, ero già appassionato di  teatro e quando seppi di un suo seminario a Roma, partii. Mi fece salire in scena in  una sala colma di persone, all’epoca ci si sedeva sui gradini, si fumava (!), era tutto un altro mondo, stiamo parlando di più di trentacinque anni fa… con lui era tutto improvvisazione. Fu una bellissima esperienza della quale mi porto ancora dietro un esercizio sulla situazione teatrale che ancora oggi utilizzo nei miei laboratori ma soprattutto le cose curiose che faceva e so per certo che  a volte, in scena, ci prendeva per i fondelli comunque in maniera sublime. Non ho mai perso l’ammirazione per l’artista, cosa che sfugge ormai ai più, i commenti sono sempre sul premio Nobel, la politica, l’ideologia, ha fatto la Repubblica di Salò, bla bla bla: nessuno parla del fatto che fosse un artista incommensurabile a cui perdonavi tutto perché in scena era formidabile oltre al fatto che resta l’autore italiano più rappresentato nel mondo (mi dispiace che qualcuno ci stia male!): Dario era ed è un mito assoluto. Abbiamo avuto delle scomparse terribili quest’anno in Italia, Umberto Eco, Giorgio Albertazzi, taccio su tanti altri ma sono dei personaggi indimenticabili, che non nasceranno più ed è proprio il mondo della cultura, dello spettacolo, del teatro italiano che perde dei pezzi importanti. Da ragazzo sentivo alla radio il trio Parenti-Fo-Turano, tre grandissimi del teatro italiano, avevo anche un nastro che ho avuto per anni e che non so dove sia finito, de “la Bibbia rivista da Dario”, lui faceva due pezzi straordinari, in cui interpretava Caino e Abele e Sansone e Davide, immagina la passione che avevo io per Dario…

Una volta, era il 1985, ero insieme al mio amico Edoardo Padovani (che è stato, credo, il primo produttore di Fo), lo chiamò davanti a me, ecco, lì ero un pochino emozionato, anzi: emozionato, io volevo fare “Chi ruba un piede è fortunato in amore” una delle sue commedie, me lo passò e mi disse “Si caro, non ci sono problemi, non ho problemi per i diritti, immagina che io ogni mattina quando mi sveglio incasso sette milioni di diritti in tutto il mondo”, immagina… Poi lo rincontrai a Taormina nel 1997, coordinavo dei corsi di un laboratorio teatrale diretto da Giorgio Albertazzi, avevo montato un pezzo e Dario venne a vedere la nostra dimostrazione che gli piacque parecchio tanto da, all’epoca aveva in progetto il “Diavolo con le Zinne”, invitarmi il giorno dopo a colazione con Albertazzi, proponendomi di fare un provino per il protagonista, accettai, andai a Riccione, dove lui ha una casa, e mi scritturò”.

Facciamo un gioco, Fo in tre aggettivi:

“Immenso, straordinario, inteso come fuori dall’ordinario. Freddo e Avido. Di vita. Amava la vita, era la vita personificata come sono i grandi artisti fuori dall’ordinario, Dario era così. Era vita”.

Che cosa gli invidi da attore a da persona…

“La libertà, come tutti i grandi artisti era assolutamente libero, ecco! questo è un altro aggettivo” che così diventano quattro! Sarebbe facile dire la sua arte, la sua capacità estrema di comunicazione col pubblico, lui diventava tutta una cosa, entrava nelle pieghe del pubblico. La libertà totale dell’artista che può scegliere ciò che vuole e questo in un certo senso glielo invidio anche nella vita. Dario è uno che ha fatto ciò che ha voluto e se lo meritava”.

Che cosa manca al teatro italiano adesso? E che cosa ci mancherà di Dario Fo?

“Il coraggio, il teatro fatto bene in televisione funzionerebbe pure. Eravamo un paese che  spaccava le poltrone quando non spingeva uno spettacolo di Pirandello, adesso siamo un paese che discute sulle scorreggie di Valeria Marini, il livello si è un po’ abbassato…bisogna interessare la gente. A partire dalla scuola, noi non studiamo nulla a scuola, non facciamo educazione musicale, il teatro è fatto da eroiche professoresse che si ammazzano di lavoro gratuitamente per riuscire a fare teatro con i propri allievi spesso contrastate dagli stessi presidi, non studiamo la fonetica ma sappiamo dire “free” in inglese: il sistema è deflagrato”.

L’ultima volta che sei stato a teatro?

Lei e lei” di Giampiero Cicciò. Bravissimo regista“.

Torni al cinema nel nuovo film di Pif…

“Si, in questo film faccio un comico capomafia, Don Calò; la tematica, molto forte, è fatta sempre con la leggerezza divertente di Pif. Pierfrancesco Diliberto è un ottimo regista e in questo film è una splendida maschera. Lo dico perché in Italia abbiamo dei bravi comici che però come registi sono disastrosi, questa moda degli attori che si dirigevano da soli nacque con Cecchi Gori, il risultato è stato disastroso e a uno gli hanno fatto pure vincere l’Oscar. Se Johnny Stecchino avesse avuto un regista sarebbe stato un capolavoro”.

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