#dirittoerovescio: falsa attestazione di presenza del dipendente | scirokko.it

Il dipendente che attesta falsamente la propria presenza sul luogo di lavoro commette il reato di truffa previsto e punito dall’art. 640 c.p. Nel caso in cui datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione la truffa è aggravata ai sensi del comma 2, n. 1, norma citata, che prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni oltre il pagamento di una multa.

In generale, gli elementi costitutivi del delitto di truffa sono essenzialmente tre: 1) l’inganno (rectius, artifizio o raggiro); 2) l’induzione in errore del soggetto passivo con conseguente danno alla sua sfera patrimoniale; 3) il conseguimento di un ingiusto profitto da parte del soggetto agente.

Naturalmente, trattandosi di reato non colposo è necessario l’elemento soggettivo del dolo (coscienza e volontà di commettere l’azione in capo al soggetto agente).

Per la configurazione del reato tutti i superiori elementi debbono coesistere ed essere processualmente provati secondo il canone di valutazione dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

Tuttavia, la giurisprudenza di merito e di legittimità più recente sembra attestarsi su posizioni piuttosto rigorose, ritenendo in tali casi ampiamente ricorrenti tutti gli elementi costitutivi della truffa aggravata.

In particolare, con una recente pronuncia in data 27/10/2015, la Corte di Cassazione ha rilevato che proprio in ragione della funzione autocertificativa che la timbratura del badge assolve in ordine al rispetto degli orari di lavoro ed al reale assolvimento delle proprie mansioni, qualsiasi condotta manipolativa delle risultanze di questa attestazione deve ritenersi di per sè idonea a trarre in inganno l’Ente pubblico in merito alle circostanze che quella attestazione è intesa a dimostrare e dunque configura sempre gli artifici e raggiri che compongono l’elemento materiale del reato (Corte di Cassazione, III sez. penale, 45698/15).

Inoltre, sussisterebbe il requisito del danno cd. “economicamente apprezzabile” in rapporto al periodo di assenza ed alla luce dell’eventuale reiterazione della condotta; sotto questo ultimo profilo è stato evidenziato come proprio l’ingiustificato protrarsi di condotte di marcatura in orari in cui i lavoratori erano assenti dal posto di lavoro, necessariamente produce un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una frazione della prestazione giornaliera che in effetti non è stata effettuata, con ulteriore danno patrimoniale e di immagine conseguente alla mancata presenza del dipendente nel presidio lavorativo, rimasto così sguarnito della corrispondente unità di lavoro (Ord. TDL Napoli, 06/07/2015).

Trattasi di posizione non del tutto innovativa ma comunque particolarmente tranciante sulla questione, tendente a punire in maniera esemplare gli autori di simili condotte, concedendo poco spazio all’interpretazione del Giudice ed agli strumenti del difensore.

Il rischio che si corre è quello di attribuire disvalore penale a condotte certamente censurabili sotto il profilo etico-sociale ovvero sotto il profilo disciplinare, ma che di per sé non necessariamente recano gli elementi costitutivi del reato di truffa la cui sussistenza deve sempre essere provata e non meramente presunta.

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