#dirittoerovescio: sesso con docente. Dove inizia l’abuso? | scirokko.it

La questione odierna attiene la liceità di un rapporto sessuale consumato tra un insegnante ed una sua alunna appena diciottenne, dal carattere emotivamente instabile e problematico e per questo sin da piccola in osservazione.
La madre della ragazza, venutane casualmente a conoscenza, vorrebbe denunciare l’uomo ma teme che la figlia possa crollare psicologicamente vedendosi scoperta.

La problematica da risolvere in punto di diritto ruota esclusivamente intorno alla validità del consenso all’atto sessuale prestato dalla ragazza.

E’ facile (forse fin troppo) ritenere che il ruolo di insegnante abbia posto l’uomo in una certa posizione di supremazia psicologica; del resto, questo particolare rapporto interpersonale si innesta in un soggetto già fragile, affetto da “disturbo di personalità emotivamente instabile” (non è chiaro se questa circostanza fosse nota all’insegnante).

In ogni caso, la tutela della condizione di inferiorità psichica del soggetto nel rapporto sessuale prescinde da uno stato patologico di tipo organico ed è prevista come specifica causa di invalidazione del consenso all’atto sessuale, che non si ricollega necessariamente a deficienze psichiche ma che può dipendere anche da particolari situazioni ambientali, la cui intensità sia capace di incidere sui poteri di resistenza della voglia altrui (v., Cass. Pen., III, 3055, 1992).

Peraltro, in tema di violenza sessuale per induzione (art. 609 bis, II comma, c.p.), l’abuso dell’altrui condizione di inferiorità è configurabile anche in presenza di una condotta meramente omissiva del soggetto agente, il quale pur percependo la condizione di inferiorità psichica del partner, ne accetti le avances omettendo di attivarsi a salvaguardia dell’altra persona.

Per contro, v’è da rilevare come il mero dato anagrafico non comporti di per sé la sussistenza di una condizione di inferiorità fisica o psichica (cfr., Cass. Pen., III, 16843, 2008) e dunque questo tipo di indagine sarà inevitabilmente oggetto di un approfondimento istruttorio particolarmente rigoroso e a tratti probabilmente sgradevole per la persona offesa.

Il reato è, di norma, procedibile a querela nel termine di mesi sei dalla data del commesso reato e la querela non è revocabile.

Né per cultura né per professione potrei dare un giudizio sul fatto in sè; neppure sono in grado di suggerire alla Signora il percorso più corretto da intraprendere per gestire al meglio il rapporto con la figlia.

Esistono strutture qualificate e specializzate in materia alle quali consiglio di rivolgersi.

Con i migliori saluti

Avv. Andrea Florio

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