Follia a due: la coppia criminale | scirokko.it

Ci sono delitti che vengono commessi da un solo autore – che può agire d’impeto o premeditare la sua condotta criminosa – e ce ne sono altri che, invece, vedono coinvolte più persone, in una suddivisione di ruoli che va dall’autore al complice (quest’ultimo con una condotta in genere marginale, di supporto e di aiuto).

Esistono poi altri tipi di omicidi, che sono il prodotto di due menti, di cui una è generalmente quella predominante e l’altra quella secondaria, che ne subisce l’influenza.

La folie à deux (o disturbo psicotico condiviso) venne descritta per la prima volta nel 1877, dagli psichiatri francesi Ernest-Charles Lasègue e Jean- Pierre Falret. Si tratta di una sindrome psichiatrica caratterizzata da sintomi psicotici (con convinzioni paranoiche o deliranti) che vengono trasmessi e condivisi tra due persone che hanno una relazione affettivo-emotiva molto intima e stretta. A intensificare la relazione – e di conseguenza la condivisione dei deliri paranoidei – è sicuramente l’isolamento della coppia rispetto all’ambiente esterno, con cui non intrattiene grandi contatti e non porta avanti interessi sociali.

La coppia è composta da due personalità strutturalmente differenti, che in un gioco di parti molto particolare, compensano le reciproche esigenze: il principale è una personalità particolarmente dominante, dotata di spiccata intelligenza e intuito ed è colui che sviluppa per primo un delirio e lo motiva attraverso una costruzione logica;  l’associato (o l’indotto), invece, non è generalmente dotato di grande intelligenza e cultura ed è per temperamento portato a condotte passive che lo conducono sino all’accettazione cieca del delirio dell’altro.

Lo “scarto” tra i due soggetti, che si rintraccia nella loro diversità personologica e strutturale, li rende complementari e intensifica le reciproche convinzioni.

 Nel 1949, Gralnick descrisse quattro sottotipi di follia a due:

  • La follia imposta: la forma più comune di folie a deux, si basa sullo “scarto” tra la predominanza del soggetto forte – che sviluppa per primo un delirio – e la passività del soggetto debole e facilmente suggestionabile – che accoglie il delirio dell’altro facendolo suo.
  • La follia simultanea: due persone, unite da un legame molto forte, sviluppano contemporaneamente una condizione psicotica, che trova origine in una causa comune, senza che nessuna delle due parti sia necessariamente dominante.
  • La follia comunicata: accade che l’indotto (ossia la persona più debole), pur in assenza di malattia mentale, accolga il delirio dell’altro dopo un lungo periodo di resistenza e lo strutturi dentro se stesso al punto tale che, anche separando la coppia, il delirio continua a persistere.
  • La follia indotta: accade quando entrambe le persone presentano in origine un quadro psicotico, ma la loro relazione intensifica i deliri reciproci, che così si arricchiscono vicendevolmente attraverso l’accettazione del delirio dell’altro.

La letteratura sull’argomento ci dice che, nella gran parte dei casi, la coppia è composta da persone molto vicine, quasi sempre membri della stessa famiglia o legate da un rapporto sentimentale, in cui esiste generalmente uno “scarto” tra il dominante e il sottomesso. Il ruolo decisivo è sicuramente svolto dalla parte debole che, secondo Gralnick, sviluppa un’identificazione inconscia con la parte dominante, accogliendo la sua idea delirante per paura di interrompere una relazione da cui si sente appagato.

Ne conseguono comportamenti che si sganciano da un adeguato esame di realtà e da una consona capacità critica, che trovano terreno fertile (fino a intensificarsi) nell’isolamento sociale che la coppia vive. La distorta visione della realtà si registra sia durante l’accettazione del delirio e la costruzione del delitto, sia nella fase immediatamente successiva, durante la quale – con la stessa non accettazione della realtà – la coppia nega a se stessa e agli altri la responsabilità per il fatto accaduto.

Sicuramente, durante la fase dell’isolamento, la relazione tra il dominante e l’indotto si intensifica particolarmente, soprattutto perché essa non incontra ostacoli esterni che possano interferire nel processo di formazione di un’idea delirante condivisa.

Il tema delle coppie criminali è stato trattato per la prima volta nel 1909 da Scipio Sighele che, ne “La coppia criminale”, rintracciò due elementi – quello dell’incube e quello del succube – fondamentali per la costruzione di quattro sottocategorie:

  • Gli amanti assassini, il cui collante si rintraccia nella suggestione d’amore che, per la sua natura intima e profonda, può sfociare nella patologia.
  • La coppia infanticida, che vede nella “colpa” di un amore “illecito” il movente dell’omicidio; uccidere il figlio, significa per la coppia eliminare la prova della sua colpevolezza.
  • La coppia familiare, in cui la vicinanza fisica e la condivisione dello stesso ambiente di vita facilita il sorgere e lo svilupparsi della condotta criminosa, che ha come movente quasi sempre il lucro.
  • La coppia di amici, si registra per lo più in contesti “a rischio”, come il carcere o i luoghi di incontro di delinquenti e vagabondi che, vivendo già di base una condizione di vulnerabilità e di devianza, si influenzano reciprocamente con molta più facilità.

A prescindere dalle singole sottocategorie, la coppia criminale è accomunata dalla stessa incapacità di leggere e decodificare la realtà e dalla medesima messa in atto di meccanismi di negazione, che rappresentano il trait d’union tra le due parti. In un gioco di complicità, in cui la complementarietà assolve una funzione importantissima, i singoli protagonisti difendono la loro intimità. Essi mostrano all’esterno una facciata – costruita secondo le loro convinzioni – che rappresenta soltanto la punta di un iceberg; ma i meccanismi psicologici, ben più profondi e complessi di quelli volutamente palesati, stentano a venire a galla.

0 Commenti

Scrivi un Commento

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com