Io, mai niente con nessuno avevo fatto

Una storia d’amore, coraggio e morte quella di Giovanni (Joele Anastasi che della pièce è anche autore), ragazzo sensibile, semplice e sincero, che vive con naturalezza la propria omosessualità, in un ambiente violento e crudo, opprimente e omofobo, in cui il diverso non viene accettato. Accanto a lui si muovono la cugina Rosaria (Federica Carruba Toscano), risoluta e intraprendente, che lo protegge incondizionatamente e che rappresenta tutto per lui, cresciuto senza una figura maschile a cui fare riferimento, e Giuseppe, insegnante di danza di cui Giovanni si innamora. Un sapiente gioco di coni di luce scandisce i monologhi dei tre attori, in stretto siciliano, peraltro comprensibilissimo, illuminando le loro esistenze che emergono con coraggio dal buio in cui la quotidianità di una periferia di Palermo anni ’80, provinciale e bigotta, li ha confinati.

La rappresentazione è un flusso narrativo che accavalla ricordi, narrazioni, tempo, e intesse una trama che lega le tre figure indissolubilmente fra loro, nonostante sulla scena non si tocchino mai. Il linguaggio è ruvido, esplicito, in grado di fare emergere  la natura più nascosta di ogni personaggio. La scenografia  di grande efficacia, appositamente ridotta all’osso, focalizza abilmente l’attenzione sul gesto, la mimica e le parole ed evidenzia l’innocenza e il candore di Giovanni, vestito con un metaforico abito bianco, e  l’ambiguità di Giuseppe, che indossa pantaloni marroni, simbolo di sporcizia e colpevolezza. Sono antitetici, i due: Giovanni è generoso, bisognoso d’amore, spontaneo in quello che appare il suo unico legame (neanche la notizia della terribile malattia che gli viene trasmessa e che lo porterà alla morte gli farà perdere la speranza). Giuseppe (un bravissimo Enrico Sortino) è invece infido, timoroso che il suo rapporto venga scoperto e cancelli lo stereotipo di maschio siculo virile e donnaiolo che si è cucito addosso. Nasconde un terribile segreto e si è rifatto una vita in città che non vuole venga in nessun modo messa in discussione: da qui il suo cinismo.

Lo spettacolo può considerarsi un affresco epico, una sorta di tragedia greca in cui si intrecciano amore e morte, che attraversa la vita dei tre personaggi. L’interpretazione dei tre attori è emozionante e travolgente, ognuno di essi appare capace di narrare la sua storia di degrado con forza  e commozione riuscendo  ad entusiasmare il pubblico. Imperdibile.

 Gi  Zeta

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