Il fascino del male

Perché, ognuno di noi, subisce il fascino del male?

Anche se siamo reticenti nell’affermare che veniamo attratti – in qualche modo – da ciò che ci desta nel contempo paura e orrore, resta un dato di fatto che il male ha da sempre raccolto attorno a sé uno stuolo di “affascinati”. Sin dal Medioevo, quando la punizione per un reato commesso passava attraverso i supplizi, quei corpi martoriati e sottoposti alle più atroci sofferenze venivano seguiti dallo sguardo attento di una folla presente e partecipe, che assisteva inorridita ma altrettanto incuriosita.Il supplizio, purché svolgesse pienamente la sua funzione, non doveva privare semplicemente l’individuo della vita, ma doveva intrattenerlo nel dolore, con modalità clamorose, scenografiche e impressionanti, tali da rimanere impresse nelle menti di chi vi assisteva; per questa ragione, spesso, si prolungava oltre la morte, attraverso l’oltraggio dei corpi esposti ai bordi delle strade, bruciati o trascinati per le città. La folla che partecipava alla pubblica punizione rintracciava nella “spettacolarizzazione” della sofferenza una chiara simbologia: riprodurre il crimine – utilizzando talvolta gli stessi strumenti e la stessa efferatezza – ma con una finalità completamente diversa, che consisteva nell’eliminazione del misfatto attraverso la morte del colpevole, per dimostrare platealmente che la giustizia trionfava sempre.

Oggi siamo chiaramente molto lontani da pratiche così cruente e inumane, ma non sembrerebbe un azzardo rintracciare un parallelismo tra la “spettacolarizzazione” dei supplizi medioevali e la sempre più crescente curiosità verso fatti cruenti ed eventi di cronaca nera, che oggi riempiono i palinsesti televisivi. Se nel Medioevo, la violenza e la punizione non avrebbero avuto la stessa valenza senza un pubblico chiamato come spettatore  (nella duplice funzione di garante della punizione e di complice) oggi, seguire un fatto di sangue ed entrare dentro la vita delle persone coinvolte, è diventato quasi un diritto che il popolo rivendica con fervore e del quale non vuole sentirsi privato. Ma dietro la fidelizzazione a un certo target di programmi, che hanno fatto del delitto un affare sicuro, c’è soltanto il bisogno di farsi garanti della giustizia? Parrebbe di no. Il male è l’infrazione di alcune convenzioni che ci sono state impartite dalla società come fondamentali e la cui violazione comporta sempre una punizione. Tali convenzioni non sono altro che il frutto di una moralità che – secondo Freud – non è presente né nell’ uomo primitivo né tantomeno nel bambino, ma subentra in uno stadio avanzato dell’evoluzione della specie umana e si manifesta attraverso un sistema di divieti finalizzato al contenimento di certe pulsioni, che il Super-Io mette a tacere, facendosi garante del rispetto dell’autorità.

Ma la vita psichica è piuttosto complessa e molto conflittuale: è il luogo di tensione per definizione, dove spesso il taciuto o il rimosso non si accontentano di rimanere inespressi e ritornano a galla. La società ci impone di non essere cattivi, ma l’imposizione è qualcosa che non ci appartiene dalla nascita; ecco che quando veniamo affascinati da qualcosa che, convenzionalmente, ci dovrebbe creare un “morale” disappunto, la parte più primitiva di noi sta emergendo. Diventa, a questo punto, più facile rispondere al quesito iniziale che ci siamo posti: il male ci affascina perché, attraverso le condotte devianti altrui, sublimiamo le nostre antiche pulsioni – quelle messe a tacere da un contratto sociale che ci vuole buoni e impeccabili – e, attraverso il voyeurismo, ci riappropriamo della nostra parte istintuale interdetta dalla morale, senza correre però il rischio di pagarne noi le conseguenze. Osservare il male assolve un compito importante, perché ci permette di metterci dalla parte opposta rispetto a chi il male l’ha compiuto, facendoci crogiolare del nostro sentirci migliori. Ma il male è una parte di noi, una parte che scegliamo volontariamente di non esprimere, ma che ci appartiene esattamente come ci appartiene il bene. Ed è questo il motivo per cui il male “espresso”, manifesto e sviscerato, ci attrae in maniera inspiegabile. Esso corrisponderebbe – come afferma lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet – ad una parte inespressa di noi, una parte interdetta da un contratto sociale recente, rousseauiano, che ci impone di non essere del tutto cattivi; ma, esistendo nell’ uomo una parte precedente a questo contratto, quando veniamo affascinati dal male è come se l’antico emergesse.

Il male espresso, insomma, rappresenterebbe quella parte di noi che non abbiamo il coraggio di manifestare.

 Sonia Bucolo

 

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Criminologa ed Esperta al Tribunale di Sorveglianza di Messina, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Criminologia. Oggi prosegue i suoi studi in Psicologia, coniugando studio e lavoro. Studiosa del fenomeno criminoso e dei fenomeni carcerari, nella loro complessità, cura la rubrica di Criminologia di scirokko.it, occupandosi dell'analisi e della divulgazione delle fattispecie criminologiche.
6 Commenti
  1. Avatar
    Peppe

    Articolo ben fatto. Il male come realtà da guardare negli occhi! Ottima competenza.

    22/12/2014 at 18:43
  2. Avatar
    enza

    Un bel articolo, scritto bene,interessante.

    23/12/2014 at 8:07
  3. Avatar
    Rosa

    Ottimo articolo,che fa riflettere

    29/12/2014 at 16:02
  4. Avatar
    benedetta

    Ottimo articolo, che tratta l’ argomento in maniera approfondita e competenre

    16/02/2015 at 19:00
  5. […] per esempio, l’era dei supplizi, quando serviva a risvegliare le coscienze (vedi “Il Fascino del male“). Il carcere è un “dolorificio”, ma l’anomalia è che genera dolore e poi vorrebbe […]

    04/05/2015 at 11:44
  6. […] come il bene, fa parte della natura umana (argomento che abbiamo precedentemente trattato ne Il fascino del male). E così i suoi effetti, come la distruttività e l’impulso ad annientare (che possono […]

    10/08/2015 at 11:00

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