Prima cominciano col cibo. La granita, le braciole, la focaccia e i pidoni. E queste sono solo una parte della tradizione culinaria messinese legittimamente apprezzata da chiunque si trovi di passaggio o torni a Messina. Poi attaccano con la tiritera del clima, della temperatura sempre al di sopra di ogni previsione, le giornate di sole che non mancano mai e il mare. Infine ma non necessariamente per ultimo, si arriva al calore della gente di questa città e di questa terra, del nostro profondo senso di ospitalità e accoglienza e del nostro cuore immenso, della nostra disponibilità. Qualche tempo fa, un amico (che chiamerò Benzin Berlin Stereootto per tutelare la sua privacy), anche lui “vittima” di questa città in cui spesso per realizzarti devi andare fuori, è tornato e ha messo su un’attività (a cui auguro tanta fortuna) ma è sempre e comunque pronto a ripartire, cercando i suoi vecchi amici, quelli di una vita passata fra i banchi di scuola e non, non riusciva proprio a stanarli. Sempre irreperibili, impegnatissimi a fare qualcosa, cioè a non fare assolutamente niente. Vi presento “il messinese”, ironicamente chiamato buddace, che per chi ancora non lo sapesse (!!!), è un pesce che vive alla giornata, dotato di grossa testa e di una bocca grande e piena, capace di inghiottire di tutto, insomma un credulone, chiacchierone, un buono a nulla, capace di tutto. Il buddace ha un’altra peculiarità: l’indifferenza. Non sto parlando di quella indifferenza per le cose sbagliate e ingiuste e neanche di quelle legate a condotte incivili, sto parlando dell’indifferenza sociale. Per qualche anno, anch’io sono stata via ma tornare è stata senza dubbio la cosa migliore che potessi fare. In quegli anni di lecito e costruttivo vagabondar, dove cercavo anch’io la mia strada o anche solo semplicemente una strada da percorrere, di messinesi ne ho incontrato parecchi. E ho capito che il messinese è uno e trino a seconda della circostanza. Quando è a Messina, si riempie la bocca di niente e passa le sue giornate ad apparire. Abiti firmati, macchine e moto costosissime (acquistate con finanziarie), stile di vita da nababbo. Quando va fuori, basta anche solo che attraversi lo stretto, si dimentica da dove viene e forse pure dove sta andando, ma riesce a diventare il più raffinato perbenista sulla faccia della terra: paga le multe, fa la raccolta differenziata dei rifiuti, prende i mezzi pubblici, frequenta mostre, vernissage e musei!!! Il terzo prototipo è il peggiore: è quello che ogni volta che torna non perde occasione per lamentarsi, molto di più di chi è rimasto, e tratta Messina come il luogo dove sfogare la repressione che vive nelle altre città dove non vuole fare la figura del terrone fuorisede, quindi ammaestra se stesso come si fa con gli animali da circo ma è soprattutto quello che incroci per le vie delle città in cui si è trasferito ed è capace di cambiare strada. Il messinese non si confonde agli altri messinesi, vuole superarli. Ma non ha ancora capito che l’unica cosa da superare è se stesso. Ovviamente non sono tutti così, c’è di peggio, e non sono messinesi.
Ileana Panama
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