Il rock raccontato dai Johann Sebastian Punk

Atmosfere volutamente eccessive per andare contro la dominante mediocrità musicale. Un atteggiamento provocatorio che inizia sin dal nome della band che richiama il più grande compositore mai esistito. Loro sono i Johann Sebastian Punk: gruppo formatosi a Bologna per iniziativa di Massimiliano Raffa (nella foto, il primo da destra), polistrumentista messinese che con le sue canzoni punta a combinare innovazione, qualità e ambizione.

Partiamo dall’inizio, Massimiliano. Sapresti indicare il momento in cui hai sentito di voler diventare un artista?

Non è stato un momento preciso. Tutto è iniziato quando ero poco più che un bambino, verso i 12 anni, quando ho preso in mano strumenti che non ero nemmeno in grado di suonare. Nei miei primi approcci alla musica non volevo arrivare subito a qualcosa di compiuto ma ho provato a fare delle opere che si potessero definire musicali attraverso l’incompiutezza e la forza aleatoria degli strumenti. Poi ho affinato i miei gusti e iniziato a scrivere canzoni. Da lì è stato naturale portare avanti l’idea di alcuni progetti musicali che hanno iniziato a prendere forma, qualche anno fa, a Bologna.

Quindi il trasferimento a Bologna, in questo senso, è stato decisivo?

Per questo tipo di percorso, sì. E’ stata la prima volta in cui ho potuto far uscire le mie canzoni dallo spazio chiuso della mia camera. Prima avevo incontrato molte difficoltà a confrontarmi sul piano musicale anche perché, a Messina, poco più di dieci anni fa, non c’era una cultura musicale con la quale riuscivo a dialogare. A Bologna, invece, ho avuto i primi feedback in questo senso. Però, anche lì, piuttosto che partecipare ad un gruppo, ho proposto sin da subito il mio progetto attendendo che qualcuno lo seguisse. E così è stato e queste persone hanno aggiunto tanto valore alla mia idea.

Come è nato il progetto degli Johann Sebastian Punk? E c’è una matrice comune che unisce i componenti della band?

Sembrerà strano ma fra di noi non parliamo molto di musica, se non quando siamo in sala prove, perché abbiamo dei background diversi. Anche la genesi del gruppo è stata molto casuale. Per esempio, ho conosciuto l’attuale tastierista del gruppo Giandomenico Zeppa fuori da un locale a Bologna. Quando mi ha chiesto cosa facessi nella vita, gli ho risposto che ero una futura rockstar ma che mi mancava la band. Quindi gli ho chiesto se volesse far parte della mia band dandogli un cd con i miei lavori precedenti. Il sound gli è piaciuto (anche se quel cd l’ha perso) e, dopo aver trovato gli altri due membri del gruppo (Simone Aiello e Lorenzo Boccedi), abbiamo iniziato a suonare insieme.

Leggendo i vostri testi e guardando i vostri video ho notato che prestate molta cura sia all’immagine musicale che a quella visiva. Quanto pesa l’estetica nel vostro lavoro?

Beh, pesa molto. Usiamo l’estetica anche come provocazione dato che, attualmente, nel circuito musicale italiano, si è diffuso un rifiuto di questo elemento. Prevale, infatti, un atteggiamento che punta a svalutare se stessi. Quindi, abbiamo deciso di andare contro questa tendenza adottando un modo di fare quasi pagliaccesco, dato che nessuno di noi è un “bello” che può essere trasformato in icona. C’è da dire che il nostro prospetto estetico appartiene ad un mondo molto differente da quello in cui viene curato l’aspetto dell’immagine e che è prevalentemente pop. Eppure il rock è fondato sull’estetica; in primo luogo quella musicale e, successivamente, anche sul piano visivo.

Quindi sulla scena musicale italiana c’è una carenza di gusto e innovazione?

Sì, soprattutto dal punto di vista delle produzioni discografiche. Gli album prodotti sono un po’ tutti uguali perché non si presta attenzione alla ricerca dei suoni. Questo è un grande limite perché genera una mancanza d’ispirazione anche espressiva; sono pochi quelli che puntano all’internazionalizzazione del proprio lavoro cantando in inglese e quei pochi sono confinati in piccole realtà. Diciamo che l’Italia è un Paese in cui non si fanno grandi innovazioni musicali; credo che l’ultima risalga a 100-150 anni fa! In generale, c’è la tendenza a non avventurarsi in progetti innovativi e a seguire la strada tracciata dal mercato, anche se, in realtà, la corrente la decide chi detiene il capitale da investire e chi produce i dischi, e questi ultimi dovrebbero avere una funzione pedagogica ed educativa che, alla fine dei conti, non hanno.

Tornando al percorso degli Johann Sebastian Punk: dopo More Lovely and More Temperate (l’album d’esordio della band, ndr.), quale idea state portando avanti? E che obiettivo vorreste raggiungere?

Il prossimo album dovrebbe uscire nel 2016. Avrà delle caratteristiche diverse rispetto al precedente con un sound più ritmico e comprenderà sia delle vere e proprie canzoni sia delle divagazioni prettamente strumentali. Ci si augura che con questo disco si possa realizzare anche un tour all’estero.

E quanto bisognerà attendere per un concerto dalle parti di Messina?

In estate dovremmo iniziare un tour che coinvolge molte città del Sud. A Messina dovremmo suonare ad Agosto, sperando che questa volta l’accoglienza sia un po’ più calorosa dell’esperienza precedente. Comunque, annunceremo il nostro arrivo.

Fabrizio Santoro

Fabrizio Santoro

Fabrizio Santoro. Inizia questa vita nel 1984 e per uno scherzo del karma diventa un consulente del lavoro. Colleziona lauree, tra cui una in giornalismo. Nutre passioni morbose e viscerali per la poesia (sia in veste da lettore che, soprattutto, in veste da scrittore) e per la musica. Dentro l’utero materno, al 6° mese, sente il primo pezzo: Radio ga ga dei Queen. Nasce prematuro per completare l’ascolto dell’intero album.
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