Le vibrazioni trascinanti dei Big Mimma

Rock, dialetto, reggae e molto altro. I Big Mimma (Alessandro Silipigni, Mosè Previti, Vincio Siracusano, Antonio Stella e David Cuppari) con la loro musica disegnano uno scenario multicolore ispirato, principalmente, da due grandi muse: la passione e il divertimento.

Secondo voi, la vostra musica riesce ad esprimere la personalità del gruppo e di ogni suo membro?

Sì. La musica che realizziamo è molto variegata, e proprio grazie a ciò riusciamo, attraverso di lei, ad esprimere l’eterogeneità del gruppo. Questo avviene, soprattutto, grazie all’impegno che ognuno di noi mette nell’esecuzione e nello studio del proprio strumento musicale e che, poi, eseguiti insieme, trasmettono al pubblico un senso di pienezza. Come un’ondata.

Di cosa pensate di aver bisogno per compiere uno step in avanti?

Di 250 mila euro (dicono scherzando… ma non del tutto). Oltre questo, ci piacerebbe riuscire a creare un’orchestra con tanti elementi che lavorano in funzione di un unico obiettivo, che è quello della ricchezza musicale. E’ una cosa che succede, per esempio, nelle bande musicali della provincia. Questo è uno degli esperimenti che proporremo, insieme agli altri, nel nostro prossimo disco che registreremo nel 2016.

I testi dei Big Mimma sono spesso caratterizzati dall’uso del dialetto siciliano. Questo fa intuire che abbiate un buon rapporto con la tradizione popolare.

Sì, ma non completamente. Certo, i nostri pezzi sono ispirati dal dialetto usato quotidianamente che ha delle qualità impareggiabili, ma, spesso, nei nostri testi utilizziamo anche un linguaggio che modifica il dialetto stesso. Spostare gli accenti, fondere alcune parole per formarne di nuove, ci permette di scoprire suoni differenti da quelli sempre conosciuti e ci consente anche di divertirci. D’altronde, se ciò che fai non ti diverte, allora, è meglio che fai qualcos’altro. Noi, per fortuna, ci divertiamo nel suonare insieme e abbiamo notato che questa sensazione arriva a qualunque tipo di pubblico che si sia fermato ad ascoltarci.

Secondo voi cosa manca musicalmente alla città di Messina?

Messina si è molto sviluppata musicalmente negli ultimi anni. C’è un circuito molto più attivo e un’attenzione maggiore in questo ambito rispetto al passato. La valorizzazione di alcune parti della città, per esempio, come Maregrosso e la crescita di alcuni locali di quella zona ha permesso di attirare artisti che, fino a qualche anno fa, difficilmente si sarebbero potuti avvicinare. Si può dire, quindi che le lacune che aveva in passato si stiano pian piano colmando, anche riguardo la partecipazione delle persone che si nutrono di musica.

Proprio riguardo le persone che vanno ad ascoltare un artista suonare, cosa fa brillare i loro occhi?

La verità (risposta all’unisono di tutti i membri della band). Quando sul palco sei te stesso, e quindi “vero”, e ti approcci al pubblico come se fossi anche tu lì ad ascoltare, allora si crea una connessione tra musicista e spettatori. Quando si realizza ciò e l’artista diventa meno personaggio e più coinvolgente, al pubblico brillano gli occhi e si diverte. E anche tu, lì sul palco, ti diverti. Anzi, ti sciali proprio. E a noi capita molto spesso di scialarci.

Fabrizio Santoro

Fabrizio Santoro

Fabrizio Santoro. Inizia questa vita nel 1984 e per uno scherzo del karma diventa un consulente del lavoro. Colleziona lauree, tra cui una in giornalismo. Nutre passioni morbose e viscerali per la poesia (sia in veste da lettore che, soprattutto, in veste da scrittore) e per la musica. Dentro l’utero materno, al 6° mese, sente il primo pezzo: Radio ga ga dei Queen. Nasce prematuro per completare l’ascolto dell’intero album.
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