Lo specchio come funzione dell’Io

Sin dall’antichità lo specchio ha accompagnato l’Uomo nella sua storia. Ma prima della nascita di questo oggetto, che, per come lo vediamo oggi, è stato primo appannaggio dei romani più facoltosi, l’unica possibilità di vedere la propria immagine riflessa era negli specchi d’acqua.

Scientificamente oggi sappiamo che l’immagine riflessa è definibile come “virtuale”: è cioè un’immagine che riproduce la persona o l’oggetto che sembra provenire da una direzione inversa. Tuttavia, quello che certamente affascinava fanciulli e fanciulle beatamente seduti in riva ai fiumi, come raccontano molti miti, doveva essere certamente un iniziale stupore. Simile forse a quello esibito dai neonati o dalla maggior parte degli animali. Com’è noto infatti solo poche specie fra cui i primati, gli elefanti e le oche sono in grado di riconoscere se stessi nel riflesso.

E’ per questa ragione che il rispecchiamento può essere considerato un simbolo dell’auto-consapevolezza. E, come abbiamo visto (https://scirokko.it/non-e-vero-ma-ci-credo/, ndr) proprio dallo spezzarsi dell’immagine riflessa nasce la superstizione ad esso legata.

I miti legati alla funzione dello specchio come fonte di consapevolezza del sè sono molti, ma alcuni in particolare sembrano avere un filo conduttore in comune: il mancato riconoscimento di sè  e dell’immagine riflessa conduce ad azioni rovinose e fatali.

Potremmo portare ad esempio l’affascinante fenomeno  atmosferico chiamato Fata Morgana, legato ad una leggenda in cui il riflesso dello specchio d’acqua risulta ingannatore e causa di morte per gli invasori (https://scirokko.it/fata-morgana-il-miraggio-dello-stretto/, ndr).

L’immagine riflessa ingannatrice e mortifera ricorre anche nel Mito di Narciso. Il bellissimo fanciullo costretto dalla dea Nemesi (vendetta) a pagare la sua incapacità di amare, dimostrata nel rifiuto dei corteggiamenti e delle attenzioni di giovani di ambo i sessi che si innamoravano di lui. Egli, vedendosi riflesso nell’acqua per la prima volta, si innamorò perdutamente della sua immagine, ma logorato dall’impossibilità di raggiungere l’oggetto del suo amore si trafisse conficcandosi una spada nel cuore.

Ancora nel Mito di Antedipo, ideato da Recamier, ricorre il simbolo dello specchio d’acqua. Poiché un indovino aveva predetto il terribile destino del bambino se si fosse rivelata la sua vera origine, egli viveva senza poter parlare con nessuno. Per evitare che scoprisse la sua vera origine, la regina, sua madre, aveva dettato per legge che gli abitanti non dovevano considerare alcuna affermazione come vera.

Così gli abitanti del regno impararono a conversare in modo tale che quello che dicevano, se vero, potesse essere considerata allo stesso tempo un’ assurdità. Si diceva infatti che fosse figlio di Zeus, ma che lo fosse anche la regina, sua madre: affermavano cioè il vero per far sì che tale racconto si credesse falso. Pare infatti che Zeus sotto forma di pioggia si fosse unito ad una fontana d’acqua – in cui un occhio della donna era stato trasformato – e quindi alla donna, fecondandola e generando Antedipo.

“Questa particolare fontana, considerata l’occhio della fecondazione, non rifletteva nessuna immagine, risucchiava e divorava chiunque tentasse di specchiarsi. Solo Antedipo poteva specchiarvisi e dopo una temporanea assenza, emergeva dalla fonte in uno stato d’estasi.”
Quando ormai nel regno sembrava lontana la verità, improvvisamente fece ritorno l’indovino e svelò che il destino di Antedipo era quello di essere nato da se stesso e di non poter venire mai a saperlo.

Anche Lacane, si è soffermato sullo Stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io. Questa fase rappresenta la matrice di ciò che sarà l’Io: nello specchiarsi il bambino si percepisce gioiosamente in maniera unitaria e ciò consente una prima individuazione. L’immagine riflessa ha una funzione costituente: è una genesi speculare dell’Io.

La funzione dell’immagine riflessa e dello specchio consente quindi alla persona di riconoscere gradualmente un’immagine unitaria del proprio sé. Simbolicamente rappresenta la capacità di riconoscersi come individui con caratteristiche uniche.

Il Re barbaro, credendo il riflesso vicino assapora anticipatamente il potere della conquista, ma ingannato dalla vicinanza affoga nel mare dello stretto, con i suoi cavalieri. Narciso, non riconoscendosi nel riflesso vive un amore impossibile e straziante per se stesso, che gli impedisce di amare altri. Antedipo, non potendosi rispecchiare nella fontana, è condannato a non conoscere le sue origini e quindi se stesso.

La morale dei miti citati è plausibilmente votata, infatti, a tramandare alle generazioni future il danno, nella conseguenza estrema della morte, derivato dal non conoscere se stessi.

Quante volte neghiamo a noi stessi l’evidenza delle nostre stesse azioni? Quante volte non ci riconosciamo difetti o qualità? Come se quell’immagine allo specchio non fossimo noi.

“Chi non conosce se stesso è perduto”

Mahatma Ghandi

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo

Amelia Rizzo, classe 1986. Si laurea in Scienze Cognitive e Psicologia presso l'Università degli Studi di Messina. Collezionista di titoli, a causa della sua passione per la Ricerca viene condannata a tre anni di Dottorato, ma pare ne abbia già scontato la metà. Chiamata a curare la rubrica di #psycologia, non ha potuto rifiutare questa insolita richiesta d'aiuto.
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