É arrivato a Messina, alla Sala Laudamo del Teatro Vittorio Emanuele, lo spettacolo teatrale “L’ultima madre”; per la regia di Giovanni Greco e prodotto da DAF-Teatro dell’Esatta Fantasia di Giuseppe Ministeri, dallo stesso teatro Vittorio Emanuele, in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica di Silvio D’Amico.
“Identità”, “Umanità”, “Valore per la vita”. Queste le linee-guida dello spettacolo che mette in scena, fino a domenica 28 Febbraio, la delicata questione avvenuta in Argentina negli anni ‘70 dei “Desaparecidos”.
Regia ed interpretazione magistrali. Come magistrale è la performance canora, dal vivo, di una composizione di tango che accompagna l’intera rappresentazione.
Un confronto fra due madri, due classi sociali, due mondi diversi ma, in fondo, unite da una profonda sofferenza sebbene per motivi diversi. Una, appartenente alla classe sociale più povera, dissidente nei confronti di un regime militare spietato; l’altra, figlia e moglie di militari. La prima, arrestata e colpita nel suo amore più grande: quello dei figli. Questi ultimi messi alla luce nella cella angusta del carcere e poi strappatele via. Perché? Per un desiderio di libertà, di democrazia, di rispetto verso le proprie idee, per la propria vita, la propria identità. L’altra, apparentemente dentro al sistema autoritario, ma in fondo donna e madre anch’essa, che dapprima sembra sterile, ma poi scopre che non è così e quindi diventa consapevole del valore dell’amore più grande.
Le due storie vengono raccontate parallelamente sulla scena dalle due protagoniste, sedute accanto su due sedie. Si riconoscono anche solo alla vista: una, con il “famoso” fazzoletto bianco in testa, richiamante il primo pannolino infantile; la seconda, “aristocratica” nell’aspetto, nei modi, nell’abbigliamento, ma paradossalmente più inquieta, come con un logorìo interiore non espresso per troppo tempo.
Le due, così come gli altri personaggi (un commissario, l’impiegato che annota tutto ed il marito della donna più povera) raccontano la propria storia, la propria identità, non guardandosi, ma guardando fisso lo spettatore; comunicando fra di loro attraverso la gestualità, i sussulti, attraverso un simbolo. Armonizzandosi perfettamente.
Una storia, una perdita di identità narrata in ogni modo, con tutto il corpo, che cattura lo spettatore immergendolo in quegli anni ’70 devastanti per l’Argentina, e facendolo riflettere, in un momento storico che sembra essersene dimenticato, sul valore grande della vita.
Repliche: questa sera ore 21.00 e domani ore 17.30
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