La protagonista, Nell Kimball, appunto una maîtresse, cioè tenutaria di una casa di tolleranza, narra in una forma autobiografica dura, aspra, diretta e che parte da una infanzia difficile ma comune a molte ragazze e donne di una provincia americana della seconda metà dell’800, le memoria della propria vita senza riserve e senza infingimenti, spesso con ironia amara e senza sentimentalismi, e che prende le mosse dal principio che «ogni ragazza siede sulla sua fortuna, e non lo sa», come disse la zia Letty all’autrice quando aveva appena otto anni.
Lo stile è netto e non sempre limpido, ma le pagine sono state riviste e sistemate dallo scrittore Longstreet, anche se le memorie non hanno perso nulla della loro immediatezza, e descrivono una realtà sociale cruda, dove i sentimenti hanno poco spazio, ma dove emergono intelligenza e sarcasmo, malinconia e forza vitale dell’autrice.
Scrive Alfredo Giuliani che ci si trova di fronte ad un “candido e sfrontato manuale di etica”, condivisibile considerazione perché anche alle puttane devono essere riconosciuti comportamenti etici, che provano a demolire il puritanesimo asfissiante e bigotto di una società di sepolcri imbiancati. Del resto è una legge economica quella che dice che è la domanda che genera l’offerta. E’ etico il suo considerare stupida la guerra, la sua riflessione sull’inutilità di bandiere nazionali, “pezze si di stoffa” buone solo a dividere la gente, i suoi imperdibili giudizi sugli uomini che conosce (e non necessariamente in senso biblico).
Nessun indugio su particolari alla Anais Nin, nessuna pruderie, ma solo colorite ed intelligenti riflessioni ed una appena velata malinconia ma senza mai dare colpe ad altri e senza mai commiserarsi.
Vale veramente la pena di leggerlo; vi troverete una donna che conclude le sue riflessioni dicendo “non ho mai provato nessun rimorso, così come non ho avuto mai nessun rimpianto”.
Memorie di una maîtresse americana, Nell Kimball; Gli Adelphi – 1990
Alfredo Ambrosetti
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