Selfie Generation

All’angolo, tra una traversa e una parallela del centro città di Messina, una ragazza, disegnata da un autore anonimo, irrompe da una finestra sbarrata e guarda al mondo che passa con in mano il suo smartphone. E’ un flash visivo, viene da pensare. Messina nella contemporaneità, come ogni altro angolo del mondo reale e virtuale.
Ciò che colpisce è il legame tra la forza espressiva dei tatuaggi-simboli della città (pesce spada, stemma, logo ‘no ponte’) e la presa stretta al cellullare all’ultimo brand. Quasi ci fosse un’affinità identitaria, il cellulare come estensione e riflesso del proprio Sé e del proprio corpo. Una moderna Mata adolescente nostranamente “app and follower addicted”, ci proietta così nell’osservazione di una metamorfosi psicologica, antropologica e sociale. Proprio come lei, è infatti difficile vedere un teenager senza un telefonino in mano.

La chiamano “selfie generation” o “me-me generation” – come piace dire ad altri- e ci troviamo davanti a un ritmo calzante di autoscatti che fissa un nuovo modo di esprimere e comunicare, tra risorse e rischi. L’adolescente contemporaneo ne è pioniere trasformista in quanto la tendenza soddisfa alcuni dei bisogni emotivi e di crescita tipici di questa fase evolutiva ricca di esplorazioni, risorse e cambiamenti ma anche pericoli e difficoltà.

I selfie sembrano essere fortemente connessi all’identità in costruzione dei ragazzi e vengono vissuti come un serbatoio dilike’ che alimenta l’autostima e il desiderio di sentirsi approvati, uno specchio nel quale scorgere cambiamenti corporei, proporre trend e mode, modulare l’espressività delle emozioni e condividerle. Come osservano recenti studi esplorativi, ci si trova spesso di fronte a protesi narcisistiche (costruire un’immagine grandiosa di Sé), moltiplicazioni (postare su più social) e frantumazioni del Sé (selfarsi su parti parziali di corpo). Altre volte, l’immagine di se stessi viene talmente ritoccata da apparire altra. Al prossimo selfie in bacheca o alla prossima giovane Mata ritratta su qualche muro della città… fateci caso.

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Dott.ssa Janette Palella
Psicologo
janette.palellla@gmail.com

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