Ti amo e ti ammazzo. La gelosia che uccide

Giovedì 3 settembre, a Messina, una donna tunisina di 33 anni è stata uccisa dal marito di 52 anni (anche lui tunisino) nell’abitazione dove vivevano con le figlie. La donna, mediatrice culturale e interprete della lingua araba e francese presso l’Ufficio Immigrazione della Questura, si occupava dell’identificazione degli immigrati giunti a Messina, e quella sera era tornata più tardi a casa. Dopo una violenta lite, il marito l’ha picchiata fino a fracassarle il cranio e l’ha ignorata (occupandosi delle figlie) fino all’indomani mattina quando, accertatosi del decesso, l’ha coperta con un lenzuolo ed è andato con le quattro figlie al commissariato di polizia a costituirsi. Possibile movente: la gelosia.

Secondo la definizione che dà il vocabolario, la gelosia è quello «stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo, teme (o constata) che la persona amata gli sia insidiata da un rivale». Questo misto di paura, angoscia, collera e rabbia nasconde la volontà di possedere l’altro e la paura di perderlo e, se vissuta in forma “normale”, potrebbe quasi risultare inseparabile dal sentimento dell’amore.

In ambito psicoanalitico, la gelosia affonda le sue radici nel complesso di Edipo, che si traduce in quel triangolo amoroso tra padre, madre e bambino in cui, l’identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio verso il genitore del sesso opposto, suscitano sentimenti di gelosia, rivalità e bramosia. Sigmund Freud, nell’opera Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità (1921), distingue tre forme di gelosia: quella competitiva o normale, quella proiettata e quella delirante. La prima, per quanto si definisca “normale”, non è interamente razionale – e quindi legata alla circostanza attuale – ma trova terreno fertile nel mondo dell’inconscio, che scatena impulsi legati alla paura della perdita e alla ferita narcisistica che ne deriverebbe. Le altre due forme, invece, scaturiscono entrambe da una inclinazione all’infedeltà che la nostra parte razionale rimuove e sublima – al fine di alleviarne la tensione che ne deriva – attraverso la gelosia verso l’altro.

I delitti passionali (termine che appare più come un ossimoro), rimanda a quella fattispecie criminosa che trova terreno fertile nell’amore e ha come movente la gelosia. Ma un amore che uccide non è un amore, così come una passione omicida non è passione. Si tratta più di un bisogno malsano, in cui l’altra persona viene caricata di tanto altro, che con l’amore non c’entra. La passione è vita, euforia, gioia, energia positiva e nulla può avere a che fare col bisogno, con l’insicurezza, con la paura dell’abbandono, con le incapacità relazionali e con le proiezioni di vissuti interiori problematici che  – per quanto, in forme contenute, possono essere presenti in ognuno di noi – in relazioni di questo tipo finiscono col diventare il punto focale e lo snodo principale del rapporto: se finisce la coppia, finiscono anche le singole persone. Ma Eros e Thanatos (amore e morte) non vanno d’accordo e il bisogno di controllare e possedere l’altro non è una manifestazione di amore, bensì un bisogno di imporre se stessi che è chiaramente legato a tratti narcisistici di personalità.

La gelosia patologica può essere inquadrata in tre aree:

  • La Gelosia ossessiva, in cui le idee di infedeltà si tramutano in immagini che, nella mente di chi le vive, assumono le sembianze della realtà. Il sentore del tradimento diventa così lacerante e invalidante che chi ne soffre è alla costante ricerca della conferma o della smentita, mettendo la propria vita interamente al servizio della “fatale scoperta”.
  • La Sindrome di Mairet, in cui il vissuto patologico di gelosia invade ogni aspetto della vita (non solo quello amoroso), occupando per intero il campo esperienziale di chi lo vive e invalidando la propria esistenza e quella delle persone che colpisce.
  • La Sindrome di Otello (o gelosia delirante), in cui la persona non solo è convinta dell’infedeltà del partner, ma cerca costantemente conferme del tradimento, come un ipocondriaco fa rispetto alla malattia che teme. Pertanto, vengono messe in campo una serie di strategie – da quelle esplicite a quelle subdole – con l’unico intento di scoprire il tradimento, portare il partner a confessare e porre così fine alla propria angoscia e ai propri tormenti.

In tutti e tre i casi, quello che più colpisce è come l’altro sopporti (talvolta anche per anni) agiti patologici; il che porta ad affermare che la patologia non riguarda più solo chi vive la gelosia, ma direttamente la coppia.

Il fatto che questo tipo di omicidio colpisca particolarmente le coscienze, deriva dal fatto che l’artefice del delitto sostiene fermamente di amare la sua vittima e la ama anche nel momento dell’uccisione e dopo; non è un caso che, in certi episodi, all’omicidio segue il suicidio dell’assassino. È come se queste relazioni non fossero composte da due unità che si incontrano per condividere, pur mantenendo intatte le proprie individualità, ma di una sola unità inscindibile, in cui nulla esiste al di fuori di quella relazione e quello che esiste viene percepito come un pericolo; una realtà, insomma, che assorbe tutto, annienta le indipendenze, utilizza i parametri del possesso per definire la relazione e finisce col consumarsi in se stesso.
Il vero dramma è che molte donne, prima di incontrare la morte, conoscono un crescendo di episodi di violenza, messi in atto dal partner, che confondono (o giustificano) con l’amore, rendendosi complici della stessa violenza che subiscono e facendo aumentare enormemente quel “numero oscuro” che non permette alle persone care o alle istituzioni di intervenire per tempo. E così i numeri dei femminicidi aumentano drammaticamente, tra il dolore di chi perde una persona cara e l’indignazione dell’opinione pubblica. (Vedi Femminicidio: ogni due giorni una donna viene uccisa)

OTELLO: Quel fazzoletto che mi era tanto caro, e te l’avevo dato io, e tu l’hai dato a Cassio. 
DESDEMONA: No: sulla mia vita e sull’anima mia. Mandatelo a chiamare e domandatelo a lui.
OTELLO: Guardati, anima dolce, dallo spergiuro. Guardati! Sei sul letto di morte.
DESDEMONA: Lo so: non per morirci ora.
OTELLO: Sì. Subito. E dunque confessa apertamente il tuo peccato; perché il negarlo in ogni suo punto con giuramento, non potrà smuovere mai né soffocare questa certezza che mi strazia. Devi morire.
COMMENTATORE: Il tradimento del proprio compagno o della propria compagna mostra come tutto ciò che appare perfetto e che conferisce senso alle cose può avere fine. Il tradimento della coppia conduce alla conoscenza di questa realtà e quindi, in fondo, alla profonda solitudine e separatezza degli esseri umani.
DESDEMONA: Domani mi ucciderai. Lasciami vivere stanotte.
OTELLO: Ah, resisti?
DESDEMONA: Solo mezz’ora…
OTELLO: Ora. È deciso. Subito.
DESDEMONA: Il tempo di dire una preghiera.

 (Otello di Shakespeare)

Sonia Bucolo

Sonia Bucolo

Criminologa ed Esperta al Tribunale di Sorveglianza di Messina, si laurea in Scienze Politiche e si specializza in Criminologia. Oggi prosegue i suoi studi in Psicologia, coniugando studio e lavoro. Studiosa del fenomeno criminoso e dei fenomeni carcerari, nella loro complessità, cura la rubrica di Criminologia di scirokko.it, occupandosi dell'analisi e della divulgazione delle fattispecie criminologiche.
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