Ho cominciato con la roba che non avevo ancora compiuto sedici anni, iniziato dagli amici più grandi, quegli stessi amici che deridevo e scimmiottavo. Ho iniziato con incoscienza, ma piano, come tutti, a piccole dosi. All’inizio sporadicamente, poi una volta al mese, poi due, poi tre e cosi via, poi una volta la settimana e poi due e poi tre, fino a quando la faccenda non diventa quotidiana e la dipendenza assoluta ti sovrasta. Procurarsi la roba non è difficile, anzi è estremamente semplice, ed è pure diciamo economica; sulla rete ad esempio con dieci euro puoi procurarti, se ti sai muovere, persino tre dosi. Che stando agli standard di consumo non sono troppi ma se sono abbondanti e ben fatte e se le dividi nel modo giusto puoi tirare avanti per tre settimane se non un mese. Una volta quando ero più giovane riuscivo anche a rubarle, ne ho visti a bizzeffe rubare la roba, non era difficile nemmeno quello. Chi la vende sovente sottovaluta il valore di ciò che sta vendendo, ma un assuefatto no, nella lotta fra i due cervelli ha molte più energie, è molto più sveglio. Alle volte è il contrario, chi la vende sà cosa sta vendendo e allora è più complicato. Per me, è anche banale dirlo ormai, la roba è essenziale, non posso più farne a meno. Capita di rado che me ne trovi sprovvisto, ma quelle rare volte è una specie di inferno. Mal di testa, senso di vuoto, irascibilità, panico, nausea. Ho provato a disintossicarmi, ma con i palliativi a disposizione non si ottengono buoni risultati, sono durato una settimana, al settimo giorno ero già in strada, in cerca di “cibo” come un lupo famelico. La sensazione che si prova non credo sia descrivibile: è una forma d’estasi, una pace che pervade ogni cellula del corpo, che detta così sembrerebbe soltanto qualcosa di bello, invece come ogni dipendenza è brutale. Ti allontana da un sacco di altre cose, dal mondo, dalle persone, ti isola e ti incatena. Mi è capitato parecchie volte di rinunciare a degli incontri per “scivolare”: non sono andato al bowling, non sono andato in un qualsivoglia locale, in una discoteca, ovunque, per rinchiudermi da solo in casa con la roba. Ed anche se sul momento non te ne rendi conto perchè vivi quello stato di trance estatica, dopo ne paghi il conto. E le conseguenze “sociali” non sono le uniche conseguenze, ci sono quelle fisiche, che sono anche peggio. Spossatezza, biancore, dolori muscolari, forme di nausea, assenza di stimoli, paura dell’azione, “deperimento” della volontà, indecisione cronica, ecmnesia, surrealtà. Nel gergo dei “fruitori” si dice scivolare l’atto della trance che si raggiunge con la roba. Credo sia dovuto al fatto che si raggiunga lentamente quell’altrove che si raggiunge, come il sonno, come il sogno. Di solito ne faccio uso di notte, aspetto che tutti si addormentino. Mi metto sul tappeto e “scivolo”. Di giorno è meno piacevole, c’è confusione, ci sono rumori ovunque, sei all’erta, funziona peggio. Di giorno faccio solo qualche richiamino, per mantenermi stabile diciamo. Di notte ci dò dentro, d’inverno poi quando fa freddo o piove, farlo è ancora più coinvolgente. L’ho fatto anche in compagnia, benchè sia più che altro un “fenomeno solitario”. In compagnia, in due soprattutto, se l’altra persona è molto vicina mentalmente a te, è un’esperienza fortissima. Mi verrebbe da dire migliore, ma forse è soltanto diversa, è un altro modo di sentire, è un sentire altre sensazioni forti attraverso lo stesso mezzo. Guardandosi negli occhi, mentre scivoli, così scivoli due volte. O non scivoli affatto. Se scivoli bene sei a rischio “scottatura”, vai troppo oltre, ed è difficile riprenderti, è come se il tuo cervello non riuscisse a ritornare ad uno stato naturale dopo quello stato di trance assoluta. Io sono scivolato bene una volta, non ero da solo. Anzi direi che per farlo servono due tipi di roba contemporaneamente, la roba e l’abbraccio. Non ne basta solo una. Quella volta è stato magnifico, più che magnifico, ma le conseguenze sono devastanti, ne porto i postumi ancora oggi a distanza di anni. Quando è primavera o estate il bel tempo ti permette di poterlo fare anche in spiaggia o al parco sotto il sole, ed è fantastico anche in quel caso, di un fantastico di un altro tipo ancora, ma sempre forte. In spiaggia poi, con la musica del mare che ti allieta…
Ho cominciato con la roba che non avevo ancora compiuto sedici anni. Certo prima mi ero fatto di qualcos’altro, ma era meno potente, roba per bambini, e non ero nemmeno mentalmente pronto per accogliere questo mondo. Ho cominciato con “Il ritratto di Dorian Gray”, e da allora non ho più smesso. All’inizio sporadicamente, poi una volta al mese, alla settimana, poi ogni giorno, fino a diventarne assolutamente dipendente. Ho assunto roba da mozzarti il fiato e roba da farti vomitare, ho “ingerito” mostri – in senso positivo – ed anche spazzattura, di tutto pur di sfamarmi. Della spazzatura non voglio dir nulla ma dei mostri si. Vi parlo dei Cortàzar, dei Vian, dei Queneau, Steinbeck, Hemingway, Proust, Garcìa Marquez. Kerouac, Brecht, Pasolini, Miller, Musil, Mann, Fëdor Michajlovic. Rimbaud. Roba da stenderti, da cambiarti per sempre, da alterarti per sempre. E ne ho nominato soltanto qualcuno. La lista è immensa. La letteratura è immensa, la “roba” è immensa. E per immensa intendo sia come quantità di dosi che come bellezza. Ed io che ne sono ormai dipendente non posso fare a meno di cercarla, continuamente. Ingerire, scivolare, godere, e…pagare. Pagare le conseguenze di una droga fatta di carta ed inchiostro, di parole concetti e umanità, di tentativi di ricerca di speranza di intuizioni di salvezza e di morte. Vi diranno che leggere è “una bella cosa”, vi stimeranno anche – se lo fate, che apre la mente, che vi riempie, vi accultura, ma non vi diranno mai che è estremamente pericoloso. Tossico. E invece lo è (non per tutti ovviamente). Del resto Cervantes ha scritto di un tale che dopo aver letto fiotti di romanzi cavallereschi è finito a combattere contro i mulini a vento, e a me sembra un valido esempio.
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