Oggi è venerdì 17. Tradizionalmente, in Italia, è considerato un giorno sfortunato. Il più sfortunato! Quello in cui qualcuno si chiude in casa ed evita di compiere progetti importanti, magari affidandosi ad amuleti e rituali. Se, per scaramanzia, non avete ancora chiuso la pagina dell’articolo, saprete anche che questa superstizione trae origine dalla combinazione di due elementi ritenuti negativi: il venerdì e il numero 17.
Se la cattiva nomea del venerdì è dettata dal fatto di essere il giorno in cui, secondo la Bibbia, è morto Gesù (mica niente, direi…), il numero 17 ha una reputazione decisamente peggiore. Talmente nefasta da generare l’eptacaidecafobia: la paura del numero 17. Questo numero, infatti, spesso è stato associato ad eventi funesti. Nell’Antico Testamento è scritto che il diluvio universale iniziò il 17 del secondo mese. Il 17, poi, è il numero di una delle legioni (insieme alla 18^ e alla 19^) romane sterminate nella battaglia di Teutoburgo contro i germani. Sempre secondo gli antichi romani, il malaugurio deriva dal fatto che sulle tombe dei defunti era comune la scritta “VIXI” (“ho vissuto”), che è l’anagramma di XVII che rappresenta il 17 nella numerazione romana. Per giungere, infine, ai giorni nostri dove, nella smorfia napoletana, il numero in questione è sinonimo di disgrazia ed è indicato con il simbolo dell’impiccato.
Al netto di credenze popolari, storia e testi autorevoli, c’è chi si adegua: sulle maglie da calcio, il numero 17 è poco utilizzato, e i matrimoni che si celebrano di venerdì 17 non sono poi così comuni. Per la serie: non ci credo ma…
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