#iononmenevado

Negli ultimi decenni l’Italia è diventata un Paese di immigrazione, con una continua crescita della popolazione di cittadinanza straniera. E’ quanto emerge dall’indagine basata su un panel di 1.000 giovani tra i 18 e i 32 anni, promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. Il flusso di uscita di giovani va via dall’Italia in cerca di un futuro migliore, ritenendo questo un aspetto positivo della mobilità, cioè fare nuove esperienze e confrontarsi con altre culture. Niente da discutere rispetto al fatto che aprire i propri orizzonti in termini di cultura e professionalità, andare a vedere, capire, assimilare metodi e misure di livello maggiore possano non solo essere formativi per se stessi ma soprattutto per il proprio Paese.
Il 20 gennaio del 1961, il 35° Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, in uno dei suoi discorsi più appassionati, esortò i propri concittadini a chiedersi cosa potessero fare loro stessi per il proprio Paese. E mentre in Italia pretendiamo che le cose vadano bene, nel resto del mondo la gente si impegna per questo, superandoci e deridendoci e lo fa con i nostri cervelli in fuga. Eppure se vai per strada tutti hanno i migliori propositi, le migliori intenzioni, le più alte formule di civiltà. Forse ciò che dovrebbe semplicemente venir fuori da questo Paese (e da questa terra soprattutto) è che invece di arrangiarsi, bisogna fare. Fare per vivere meglio, fare per trovare soddisfazione nelle proprie capacità. Fare e non abbandonare.

Ileana Panama

Ileana Panama

Filosofa dallo spirito libero e passionario. Mille difetti e un solo pregio: la caparbietà. Pare che per essere il direttore basti. Non ama le mezze misure, le mezze parole e le mezze stagioni. Onestà intellettuale ed educazione, queste le cose che apprezza negli altri. Profondamente attaccata alle sue radici, è tornata, dopo un lungo vagabondar per restare ma soprattutto per Fare. Imperdibili le sue interviste.
1 Commento
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    Messinese

    Certamente giusto. Vorrei aggiungere, però, un altro spunto interpretativo sull’origine questo “arrangiarsi”. E cito. Da F. Muzzarelli, Studio dunque sono (pp. 14-16): “A mio parere la questione è altra: siamo «socioeconomicamente sedati» dall’ammortizzatore famigliare. Il nostro paese è un bluff, nel senso che si regge, da molti anni, sul sostegno economico transgenerazionale. […] Il presente benessere è in massima parte un falso: è ereditato non prodotto. Stiamo vuotando il «frigorifero del nonno/babbo», nel quale troviamo case ereditate o regalate dalla famiglia di origine […], automobili omaggiate, bonifici bancari di sostegno al bisogno, affitti di appartamenti sempre di famiglia, studi professionali avviati […] Si tratta di aiuti senza i quali le stesse persone, in certi casi, non potrebbero neanche sopravvivere […] Per questa via non si favorisce la tanto decantata meritocrazia, non si educano le persone a misurare sé stesse […] a progettare responsabilmente il futuro. Perché sanno che, male che vada, ci pensa papà.”
    In altre parole, ho il sospetto che possa non esistere la consapevolezza del fatto che ci si sta arrangiando, che si sta galleggiando aggrappati al salvagente di mamma e papà. E che, se dovesse venire meno, si annegherebbe. Così, quelli che fuggono all’estero mi sembra che siano proprio i consapevoli di questo generalizzato miraggio, quelli che ‒ per usare una metafora cinematografica ‒ hanno preso la pillola rossa e vedono quanto è profonda la tana del Bianconiglio. Trovandosi senza salvagente in un ambiente che lo esige perché pare che la partita si giochi da salvagente a salvagente, suppongo che risulti altrettanto appetibile una vita sulla terraferma; forse non deliziosa quanto quella fra le onde, ma almeno autenticamente propria. Vivi fuori dal mare, sotto una capanna di palme, e mangi banane, ma è la riva che hai conquistato, la capanna che hai costruito e le banane che hai raccolto; quando, rimanendo in mare, saresti solo annegato.
    Il ritorno in mare è auspicabile, ma ‒ mi pare ‒ sarebbe un atto d’amore gratuito per l’ambiente d’origine; forse molto più un soccorrere che un restituire.
    È ovvio che la nostalgia del mare si sta impossessando di me e sta impregnando ciò che scrivo. Spero di non aver frainteso l’intervento edi aver contribuito con qualche altra idea.
    Ah, e in ultimo: lavoro delizioso a Scirokko! Continuate a farvi leggere!

    14/09/2015 at 12:03

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