Sanremo: il festival della discordia

Quando compriamo il cd del nostro cantante preferito, non è detto che tutte le tracce presenti entreranno nella nostra memoria. Quando andiamo ad una mostra di quadri, non è detto che tutte le opere esposte ci suscitino le stesse sensazioni. E se si assiste ad una sfilata di moda dello stilista che più si apprezza, non si ha la certezza che ogni capo soddisfi il nostro gradimento. Ho fatto questa serie di esempi per allacciarmi al tema di oggi, di cui parlano tutti i giornali, siti online, televisioni e radio, l’argomento del mese insomma, che paralizza l’Italia intera, ovvero il Festival di Sanremo.

Siamo nel pieno della settimana della kermesse musicale, sabato si decreterà il vincitore della 65° edizione del Festival della Canzone Italiana, condotto per la prima volta dal volto di punta di Rai1, il “Calimero toscano e nero” che con il suo guscio riesce ad attutire i duri colpi della concorrenza televisiva. Carlo Conti ha fatto una scelta coraggiosa per farsi accompagna20150130_6281239re sul palco dell’Ariston, sradicando la regola imposta dal vero padre del Festival, Pippo Baudo: come co-conduttrici, vallette, presenze femminili – chiamatele un po’ come volete – non troviamo le solite bellezze dalla chioma bionda e castana, ma due giovani cantanti, vincitrici entrambe delle ultime edizioni del festival, che in comune con le loro colleghe predecessore, hanno solo il colore dei capelli, Arisa e Emma, le quali, ogni tanto, quando la scaletta del programma la prevede, o se ne ricorda, sono alternate dalla spagnolissima Rocío Muñoz Morales, conosciuta dal grande pubblico come la nuova fidanzata del Raul Bova nazionale.

Ma non perdiamo il filo, torniamo a parlare del Festival e di quello che rappresenta per la nazione, come fosse un caso che, se gestito male, potrebbe generare un golpe rivoluzionario e la caduta del governo. La prima puntata di “Sanremo” è stata vista da 13 milioni di persone, l’auditel ha decretato il succsan-280x180esso della conduzione Contiana su quella Faziana dello scorso anno. Tra questi tredici milioni d’italiani si è creata una spaccatura, due eserciti di telespettatori che, vestiti di pettorina e divisi in fazioni, come gli storici guelfi bianchi e neri, si sono schierati tra i pacifici difensori del Festival e gli spietati critici della gara canora. I social network sono stati letteralmente inondati di post e tweet, di gente che guarda Sanremo, e di altri che invece si lamentano degli amici che occupano lo spazio pubblico di Facebook con “urla” di dissenso o assenso sui cantanti, sui vestiti delle ospiti e vallette, sulla durata della pubblicità, o sul rammarico di non trovare quello che si sperava di trovare.

Nessun risparmio di frecciatine di fuoco neanche sulla carta stampata: le più grandi firme del panorama giornalistico italiano hanno sparato crudeli sentenze sulla kermesse. Ho letto commenti negativi su ogni aspetto del festival: poca ricercatezza nei testi delle canzoni, poca raffinatezza delle presenze femminili, troppo rigore da parte di Carlo Conti. Uno spreco di denaro pubblico che poteva essere sfruttato in maniera differente (ma non tutti sanno che il festival è quasi interamente sovvenzionato dalle entrate economiche degli sponsor, e non dal canone che gli italiani pagano). E si potrebbe continuare ancora a lungo, ma sorge qualche dubbio: percUnknownhé accanirsi contro l’unico evento mediatico esportato all’estero che dà ancora modo di far conoscere la musica italiana oltre confine? Perché avere così tante aspettative, soprattutto di interesse politico, su un prodotto televisivo che non vuol essere altro che una gara e una vetrina per chi fa del cantante il proprio mestiere? La risposta potrebbe essere semplice, e cioè che il compito del giornalista è anche quello di criticare fino all’inverosimile, e che ognuno è libero di esprimere il proprio giudizio. E qui non resta altro che alzare le mani, sventolare bandiera bianca e arrendersi. Ma per godersi tranquillamente lo spettacolo – ribadisco il concetto, è uno spettacolo trasmesso in televisione e non l’iter per una legge costituzionale – è davvero necessario aspettarsi il dramma (tentati suicidi), il caso (presenza scomoda di comici e dei loro interventi), il gossip (i fischi ad una cantante che sta con un altro cantante), lo scalpore (torte in faccia sul palco)? Io, difensore a spada tratta del Festival di Sanremo, ritengo sia doveroso invece appoggiare il lavoro di un conduttore, e direttore artistico, che ha scelto la musica – che può piacere o meno – come unico tratto distintivo dell’evento, tralasciando tutto quello che potrebbe distrarre l’attenzione dal vero scopo del Festival della Canzone Italiana, e se vi sfugge quale sia vi invito a rileggere con attenzione le ultime parole scritte con lettere maiuscole.

Dario Donnina

Dario Donnina

Giornalista trentaquattrenne messinese, laureato prima in Lingue e Letterature Straniere, poi in Metodi e Linguaggi del Giornalismo presso l’Università di Messina. Ha trascorso periodi di studio e lavoro all’estero. Dal 2011 al 2013 coordinatore dell’Hay Festival Segovia, evento internazionale che si svolge ogni settembre a Madrid. Su scirokko.it è sua la firma della rubrica Storie.
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