E’ diventato uno dei temi principali delle linee progettuali della Commissione Europea. La popolazione dei paesi dell’Unione sta progressivamente invecchiando e sempre nuove patologie sia fisiche che psichiche si affacciano all’orizzonte. Se da un lato la vita si allunga, dall’altro non è detto che ne conservi una certa qualità.
Diversi milioni di euro ogni sette anni vengono destinati ai progetti di “buon invecchiamento” siano essi di natura medica, psicologica e di ricerca. Eppure rimane ancora troppo trascurato il tema dei familiari che si occupano di persone malate.
La tv ci aggiorna costantemente sui maltrattamenti nei confronti di disabili, persone rimaste invalide e poco importa se hanno un passato da star, come è successo di recente all’attore Francesco Nuti, maltrattato nell’impossibilità di raccontarlo. Forse anche per timore, o per motivazioni economiche molti scelgono di assistere i propri cari personalmente.
Di recente uno studio dell’Università di Messina ideato dalla cattedra di Psicologia Clinica e pubblicato su International Journal of Psychological Research si è però interrogato su quale impatto possa avere prendersi cura dei propri familiari che si trovano in gravi condizioni fisiche o psichiche. Ne è emersa una realtà delicata e dolorosa. Due i principali elementi della scelta: affetto e senso del dovere.
Nella comparazione fra i caregiver (figure di cura, ndr) che si occupano di familiari con problemi fisici con quelli che si occupano di assistere persone con disturbi psichici, i secondi purtroppo sono quelli che percepiscono il maggiore carico emotivo e relazionale. Pensate, riportano la sensazione di aver interrotto il flusso della propria vita, per dedicarsi più o meno a tempo pieno alla cura del proprio marito, della propria moglie, dei propri genitori o figli. A dirla tutta riportano anche più alti livelli di rabbia, colpa e vergogna.
La Sindrome del Caregiver comporta infatti crisi di pianto, insonnia, affaticabilità, tristezza e, alla lunga, maggiori rischi per la salute. Il compito psicologico del caregiver, nell’assistere il familiare, è difficilissimo: deve trovare un equilibrio fra il senso del dovere, senza rimanerne schiacciato, la rabbia, riconosciuta in tutta la sua umanità e l’amore, motivo per cui esistono molti, moltissimi, che non si sognerebbero mai di infliggere maltrattamenti, ma si prodigano per il benessere dell’altro e riconoscono nella cura del padre o della madre un valore morale.
Naturalmente questa condizione può essere mitigata quando ci si rivolge ad una figura professionale che possa aiutare nell’assistenza alla persona. E poi lo psicologo può essere un riferimento che può accompagnare il caregiver alla consapevolezza ed all’accettazione di queste emozioni così contrastanti.
E’ la relazione che cura.
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