“Suicidi?” Tangentopoli diventa commedia. In scena al Vittorio Emanuele

Nello spettacolo “Suicidi?”, tratto dal libro del giudice Mario Almerighi, non vi è nulla di inventato. Gli attori Storti e Coniglio, (che  dirigono e interpretano lo spettacolo ) nelle vesti  di un padre e un figlio , ricostruiscono sul palcoscenico del Vittorio Emanuele quel che accadde nel 1993, nei concitati giorni di Tangentopoli, in una sorta di commedia noir poliziesca . Nel giro di pochi mesi  Gardini, Cagliari e Castellari si sono suicidati, proprio alla vigilia  dell’incontro con i magistrati. Ma…e se fossero stati “suicidati?”  Gli attori  vestono i panni di due cittadini qualunque che si improvvisano investigatori e sciorinano davanti al pubblico una serie di testimonianze, interrogatori, perizie, senza mostrare teoremi o tentare di risolvere il caso, ma insinuando negli spettatori parecchi legittimi dubbi . Essi interpretano di volta in volta il commissario e il suo agente fidato,i parenti, amici e testimoni, i secondini che rilasciano dichiarazioni contraddittorie sul suicidio di Cagliari, il medico legale che tace sulle incongruenze delle tre morti eccellenti, il contadino che aveva battuto i campi senza trovare il corpo di Castellari, apparso poi misteriosamente giorni dopo. Toccante e doloroso il momento in cui Bebo Storti, gettando via la maschera semiseria indossata per saltare da un personaggio all’altro, parla del suo malessere profondo mentre prende atto che nulla è cambiato e che c’è chi continua impunemente a rubare il nostro futuro e quello dei nostri figli.

La pièce ha i suoi limiti, la scenografia e la regia appaiono troppo semplici e naif, e  i due attori non sempre riescono a  rivestire i panni dei  vari personaggi con quella disinvoltura e agilità  che avrebbe dato maggiore brio alla rappresentazione, ma ha un grande merito: è l’unico spettacolo teatrale a parlare di in argomento così scabroso e ancora drammaticamente attuale e a spingere, di conseguenza,  alla riscoperta di una pagina di storia tra le più oscure della prima Repubblica, un periodo, non dimentichiamolo, in cui ben pochi hanno difeso il lavoro dei magistrati dell’epoca, facendolo, in mala fede, apparire  come un momento di follia di alcuni giudici, che è costato la vita e la carriera a molti innocenti. Riattraversare quel periodo si rivela un modo efficace per capire cosa è il nostro Paese oggi e cosa continuerà ad essere, se il sistema non sarà smantellato. Lasciamo il teatro con l’amara consapevolezza che niente è cambiato.

 Gi Zeta

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